Qualcosa non torna nel feeling scoppiato tra Fini e D’Alema

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Qualcosa non torna nel feeling scoppiato tra Fini e D’Alema

10 Novembre 2008

 

Il feeling scoppiato ad Asolo tra D’Alema e Fini resta difficile da interpretare da tre differenti punti di vista.

Il primo concerne la direzione di sviluppo del sistema politico italiano. Fini ha puntato le sue carte sulla semplificazione, sulla nascita di partiti a vocazione maggioritaria, su un bipolarismo pronunciato, addirittura tendente al bipartitismo. Al tempo delle elezioni questa scelta gli ha consentito di tornare al centro del gioco, pur a costo di qualche strappo sul piano della coerenza. E non sembra, sul punto, aver cambiato opinione. Solo qualche giorno fa, in occasione di una colazione con Berlusconi, ha convenuto sul fatto che il processo di formazione del PdL debba essere accelerato. D’Alema, di contro, punta le sue carte su un processo esattamente speculare. Vorrebbe il ritorno a una realtà partitica più differenziata e più polarizzata, in modo da rendere possibile un’alleanza tra la sinistra e il centro, a suo parere l’unica strada per sconfiggere la destra. Questa strategia coniuga assieme motivi di convenienza interna con opzioni sistemiche; per quanto velleitaria, la si può comprendere. Meno facile, invece, capire perché il Presidente della Camera debba assecondarla.

Il secondo dubbio concerne le proposte di riforme istituzionali. Ad Asolo si sono toccati tre aspetti: regolamenti parlamentari, modifiche alla parte seconda della Costituzione, modalità attraverso le quali pervenire al federalismo fiscale. A me sembra chiaro che al Pdl – e quindi a Fini – convenga provare a coniugare insieme i tre temi: procedere al più presto alla modifica dei regolamenti cercando di tradurre in prassi istituzionali ciò che, di fatto, è ancora legato unicamente alle scelte di Veltroni e Berlusconi al momento del voto; immettere nella ricerca di un nuovo bicameralismo le problematiche poste dal federalismo fiscale, semplificando da un canto il procedimento legislativo e, dall’altro, facendo del Senato il luogo nel quale si risolvono le tensioni tra Regioni e Stato centrale.

Questa direzione di marcia impone di andare oltre la Bozza Violante e, proprio in tal senso, nei prossimi giorni il gruppo del Pdl in Senato presenterà una proposta originale. A D’Alema questa deriva non piace. E anche questo si può comprendere. Evitando la riforma dei regolamenti egli vuole evitare che venga legittimata la semplificazione del quadro partitico uscita dal voto del 13 e 14 aprile; proponendo sic et simpliciter la bozza Violante, gioca al ribasso nell’ambito del cambiamento istituzionale; con la proposta della bicamerale, sgancia il federalismo fiscale dal più ampio progetto di ammodernamento dello Stato. Ancora una volta, dunque: la convenienza di D’Alema è evidente; quella di Fini meno.

Infine, con la proposta di tenere insieme ogni anno – Italiani Europei, la fondazione di D’Alema e Fare Futuro, la fondazione di Fini – una Summer School in comune, ci spostiamo nell’ambito della sociologia delle classi dirigenti. Quasi che gli eredi delle vecchie forze anti-sistema – Pci e Msi – vogliano insieme porre un imprimatur sulla classe politica di domani. Se così fosse, sarebbe un errore. Non soltanto perché i processi di socializzazione, nel centro-destra così come nel centro-sinistra, si sono ormai del tutto autonomizzati dai partiti d’origine confluiti nei due schieramenti. Ancora di più perché il terreno del rispetto e del riconoscimento reciproco non può essere ricercato in occasioni comuni di socializzazione, né tanto meno in processi formativi che è giusto restino differenziati. Dev’essere piuttosto trovato all’interno delle istituzioni e del loro modo di funzionare, così come accade in tutte le democrazie post-ideologiche.

Fini, al termine del seminario, a chi lo interrogava sulle prospettive del feeling ha dichiarato: se son rose fioriranno. Mi sia consentito chiosare, amichevolmente e senza irriverenza: speriamo non siano rose. O, quanto meno, speriamo che non fioriscano.