Qualcuno dica ai socialisti d’oltralpe che il 68 è finito

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Qualcuno dica ai socialisti d’oltralpe che il 68 è finito

21 Maggio 2008

Nonostante i recenti successi alle elezioni locali, il socialismo francese sembra non passarsela tanto meglio del laburismo appena strapazzato dall’elettorato inglese o dal neonato partito democratico italiano, lacerato dalla sconfitta di aprile e a rischio implosione in vista del primo congresso d’autunno. 

Ad un anno dalla batosta presidenziale di Segolène Royal, il Ps sta cercando una lenta e faticosa uscita dal tunnel, che in realtà significa riflessione sulle storiche difficoltà di presentarsi all’elettorato francese come partito a vocazione nazionale, operazione riuscita solo due volte in nove elezioni presidenziali della Quinta Repubblica. Ma implica altresì ricerca di soluzioni virtuose alla crisi che sta attraversando le forze della sinistra riformista occidentale in questo avvio di XXI secolo, sia che si tratti della socialdemocrazia scandinava o tedesca, del laburismo inglese o della peculiare esperienza dei Democratici americani, per non parlare appunto del socialismo francese. 

In vista del cruciale congresso di Reims del novembre prossimo, il Ps è diviso tra lotta per la leadership del partito e tentativo di completare il suo aggiornamento ideologico. All’apparenza questo secondo obiettivo è stato raggiunto con la Déclaration de principes di fine aprile, elaborata in seno alla direzione nazionale. Redatto da una commissione guidata dallo storico Alain Bergounioux, il testo dovrà essere adottato dalla convenzione nazionale che si riunirà il 14 giugno prossimo. In realtà, proprio scorrendolo, non si può che ricordare la Linea Maginot, già obsoleta ancor prima di essere utilizzata. Certamente è presente il distacco definitivo dal marxismo e il capitalismo è criticato essenzialmente da un punto di vista morale. Il testo, che è destinato a sostituire quello elaborato nel 1990, non parla più di «riformismo al servizio delle speranze rivoluzionarie», ma di «un partito riformista con un progetto di trasformazione sociale radicale». Insomma scompare definitivamente la «speranza rivoluzionaria» e quindi Bernstein sembra aver definitivamente sconfitto Kautsky (era ora, verrebbe da aggiungere!), o meglio il socialismo francese sembra aver definitivamente scelto Jaurès a scapito di Guesde. 

Però affermare che la libertà è una pre-condizione dell’uguaglianza (e non l’inverso) e spingersi fino a sottintendere che il riformismo non impedisce il sogno, non nasconde il carattere rétro di tali affermazioni. Dichiarazioni di questo genere avrebbero potuto sollevare un proficuo dibattito se proposte all’inizio degli anni Novanta, nell’immediato post-1989. Oggi assomigliano al massimo ad un bilancio idealizzato di un’azione di governo lontana alla quale i socialisti cercano di aggrapparsi nel tentativo quasi disperato di definirsi riformisti. 

Questo richiamo al «riformismo» secondo una vocazione «radicale», da un lato appare del tutto fuori luogo in un tornante storico che, permettendo solo interventi marginali, finisce per deludere l’elettorato, in particolare quello popolare e delle classi medie. Ma d’altra parte è giustificato dalla cronica necessità di trovare un punto di mediazione ed equilibrio tra le varie correnti interne al socialismo francese, sempre lacerato tra l’ala giovane e riformista, quella radicale portatrice dell’ortodossia storica, quella del socialismo di governo rappresentata dagli ex-ministri e quella, da non trascurare del «socialismo municipale», formata dai tanti eletti nelle ultime competizioni comunali e regionali. Ma se dal teorico si passa alla concreta contesa per la leadership del partito, a circa sei mesi dalle assise di Reims, si cominciano a delineare i profili dei candidati alla sostituzione del segretario François Hollande. 

La vera novità degli ultimi giorni è quella del ritorno sulla scena della Royal, con una doppia candidatura: alla guida del partito e alla presidenziale del 2012. Dopo aver esitato a lungo, con i consiglieri che le suggerivano di tenersi lontano dalla segreteria per evitare di essere bruciata nei quattro anni che mancano alla corsa presidenziale, Ségo sembra aver definitivamente fatto la sua scelta: la presidenzializzazione della campagna elettorale del 2007 ha secondo lei mostrato che serve coincidenza tra leader di partito e candidato all’Eliseo. Nel concreto però, oltre al lancio del «questionario partecipativo» sottoposto ai militanti nel mese di aprile, che nella sua ottica dovrebbe contribuire a preparare il testo della sua mozione congressuale, Royal si è limitata ad attaccare Bertrand Delanoë per i suoi stretti legami con Jospin e a polemizzare con la stampa sulla questione della laicità, dopo essere stata sorpresa in una Chiesa di Firenze raccolta in preghiera, lei grande critica dei richiami alla religione del Presidente Sarkozy. 

Proprio il sindaco di Parigi Delanoë sembra l’attuale candidato forte del socialismo francese. Rispetto al gradimento dei militanti stacca di 12 punti percentuali Royal, se si parla di corsa alla guida del partito, e addirittura di 14, se ci si riferisce alla competizione presidenziale. Il neo-eletto primo cittadino di Parigi ha avviato una vera «campagna di primavera», apertasi con la pubblicazione di un primo testo in vista del dibattito congressuale (controfirmato da Jospin, non amatissimo tra i militanti, ma ancora molto potente all’interno dell’apparato dirigente del partito). L’offensiva proseguirà giovedì con la pubblicazione di un libro intervista con il direttore di «Libération» Joffrin dal titolo emblematico De l’audace e si concluderà con la riunione pubblica di sabato, non a caso prevista nella storica cornice della gauche parigina della Mutualité. 

Accanto a quelli che sembrano profilarsi come i due maggiori contendenti per la leadership interna sta poi emergendo la corrente dei cosiddetti «amici di Dominique Strauss-Kahn», che con l’«appello del 18 maggio» hanno lanciato la candidatura del vice-presidente del Parlamento europeo Pierre Moscovici per la guida del partito e quella dell’attuale presidente del Fmi per la presidenza nel 2012. Questa contesa tra candidati nasconde solo in parte l’urgenza del momento in casa Ps. Il rischio è quello che Reims si trasformi in una nuova Rennes (1990), quando al termine del Congresso si contarono sette mozioni e la conferma del segretario uscente Pierre Mauroy, affiancato da un comitato di direzione per rappresentare le numerose «sinistre» uscite dalla tre giorni congressuale. 

Il rischio concreto è che ancora una volta in nome della tradizionale «sintesi» finale, il Ps non affronti i suoi dilemmi, quelli di un partito che vince quasi sempre le elezioni locali, ma che quando si arriverà al 2012 potrà contare solo 14 anni di presidenza su 54 di vita della Quinta Repubblica. Dove può trovare la credibilità necessaria per abbandonare i lidi sicuri del socialismo municipale per confrontarsi finalmente con le grandi questioni nazionali?

Chi ha una risposta questa domanda? Royal, con la sua democrazia partecipativa, un mix di Tony Blair e di giacobinismo rivisitato? Delanoë con la sua proposta fatta di modernità e «jospenisme», senza però ancora un chiaro profilo da leader nazionale? Dominque Strauss-Kahn, all’avanguardia nella teorizzazione, ma poco in sintonia con la base militante? O forse la nuova generazione ben rappresentata da Manuel Valls e dal suo pamphlet Pour en finir avec le vieux socialisme et être finalement de gauche? 

Qualunque sia l’esito di questo dibattito precongressuale, e la già citata Déclaration non promette nulla di buono, il nuovo «suicidio» del Ps sarebbe confermato se al termine del Congresso di Reims si giungesse ad una tregua tra capi e ad una mediazione sui contenuti. La «sintesi» tra socialdemocrazia, socialismo e social-liberalismo condannerebbe quasi certamente il Ps a future sconfitte e confermerebbe la tendenza delle ultime tornate elettorali a livello continentale. Senza voler eludere le specificità nazionali, nell’ultimo anno su dieci consultazioni elettorali solo in Spagna le forze di sinistra hanno ottenuto la vittoria. Marc Lazar parla di «divorzio tra sinistra e società». Guardando al Ps francese e alla sua difficoltà ad entrare in sintonia con il XXI secolo qualche indizio ulteriore lo si può individuare.