Quale federalismo per l’Italia?

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Quale federalismo per l’Italia?

15 Settembre 2007

Il Presidente Prodi, durante l’inaugurazione della settantunesima fiera del Levante, ha indicato nell’evasione fiscale, nell’elevata spesa per interessi e, nella disomogeneità territoriale gli aspetti patologici della nostra economia.

Nella sua lettera al Corriere del 30 agosto scorso, il Presidente di Confindustria Montezemolo invitava il Governo e la maggioranza a risolvere tali nodi problematici dando avvio a “un circolo virtuoso meno tasse, meno spesa pubblica, più investimenti” attraverso un ripensamento complessivo dell’architettura istituzionale e burocratica dello Stato.  In altri termini, la ricetta di Confindustria auspica una riforma della macchina dello Stato capace di ridurre la burocrazia, di semplificare e rendere più efficiente l’amministrazione, di razionalizzare i livelli decisionali e di attuare il federalismo fiscale.

La tesi sembra pienamente condivisibile. La risoluzione di parte dei problemi della nostra economia passa infatti, (anche) per una radicale evoluzione dello Stato verso un federalismo efficiente capace di creare sviluppo economico e coesione sociale su tutto il territorio. Verso un federalismo alquanto diverso sia da quello sin qui realizzato sia da quello che va delineandosi con il progetto di legge sul federalismo fiscale, approvato dal Consiglio dei Ministro lo scorso 3 agosto, presto in discussione alla Camere.

Il problema fondamentale di fronte al quale si trova chiunque decida di affrontare lo studio del fenomeno federalista e, a maggior ragione, di avanzare proposte federali per l’Italia, è quello di districarsi fra due idee che il federalismo evoca nel linguaggio politico ordinario. Una più tecnica, che fa riferimento al diritto costituzionale e che possiamo chiamare teoria dello Stato federale, ed un’altra più complessa, che si inserisce nel più vasto ambito delle scienze socio-politiche, collocandosi all’incrocio di varie discipline. Il diritto costituzionale, la filosofia della politica, la scienza della politica, ma soprattutto la storia, la sociologia e l’antropologia. Tale idea riguarda un modo non ben identificato di pensare e di agire nell’ambito politico, economico e culturale che presenta un qualche rapporto anche con la teoria dello Stato federale. Tuttavia, essa, a differenza dell’idea che scaturisce da un approccio esclusivamente strutturale, giuridico-costituzionale, implica la considerazione dei valori, ossia dei giudizi storici, filosofici, sociologici ed antropologici.

Così possiamo individuare tre livelli o aspetti che coniugati, pur non definendo in modo rigido il federalismo, ci offrono la possibilità di delimitare il campo d’azione all’interno del quale è possibile osservare tale fenomeno ed esplicitarne il filo conduttore. I tre livelli sono quello storico-sociale, quello di valore ed infine quello di struttura.

Crediamo che una qualsiasi riflessione sul possibile riassetto federale del nostro Paese debba fare i conti con la coerente armonizzazione di questi tre livelli. Un federalismo che non presupponesse il passaggio – innanzitutto culturale – dal paternalismo di Stato all’articolazione della solidarietà sociale secondo il paradigma della sussidiarietà orizzontale, rischierebbe di tradursi in una mera devoluzione, ossia nel trasferimento (dall’alto verso il basso) dei vizi dello Stato centrale a livello periferico – il federalismo, al pari della sussidiarietà orizzontale, è un’istanza che sorge dal basso e condiziona formalmente e sostanzialmente il vertice. Per questa ragione, a partire dall’esperimento di un paese federale simbolo come gli USA tentiamo di sciogliere alcuni nodi che rendono difficoltosa una coerente ed effettiva riforma in senso federale del nostro Paese.

Sul piano strutturale, la costituzione degli Stati Uniti acquista ancora più importanza se prendiamo in considerazione il particolare momento storico. “La forma federale – scrive Mario Alberini – era non solo sconosciuta, ma addirittura impensabile, dato il legame che il pensiero politico tradizionale stabiliva tra indipendenza del governo e sovranità assoluta dello Stato”. I caratteri politici quali la libertà e la sovranità si associavano al valore dell’identità nazionale, la quale avrebbe condotto i popoli, nel corso del nuovo secolo, a battersi per la conquista dell’indipendenza nazionale. Tuttavia, per quanto la difesa della propria identità culturale rilevava una forte sete di pluralismo, la riflessione politica dell’epoca, si mostrava incapace di pensare un principio razionale e coerente, capace di organizzare concretamente, positivamente, l’esigenza del momento, ossia quello di attribuire l’indipendenza tanto al governo centrale, quanto ai singoli Stati che lo costituivano.

Ecco, in questo contesto storico politico si inserisce il grande contributo offerto dagli autori del Federalist al dibattito politico dell’epoca, segnando un momento di cesura nella storia del diritto costituzionale e del pensiero politico. A loro va il merito di aver arricchito, con un’idea concreta: la teoria dello Stato federale, supportandola con argomentazioni di notevole spessore, quel complesso concettuale, difficilmente definibile, che è la scienza della politica.

La variabile culturale e sociologica del federalismo trova una significativa espressione nel seguente passo di Abraham Lincoln: “l’oggetto legittimo del governo è realizzare quello che una comunità avrebbe dovuto fare, ma che non è stata in grado di fare, o quello che i singoli non possono fare da soli, facendo appello alle proprie capacità. Ma il governo dovrebbe evitare di interferire in tutto quello che la gente può e sa fare da sé”. In tal senso, anche la teoria dello Stato federale, il sistema tecnico-giuridico che lo rappresenta, si giustifica nel contesto di un’interpretazione del rapporto tra l’autorità politica e il cittadino, la cui articolazione territoriale è coerente con quella storico-esistenziale: ci riferiamo al paradigma della sussidiarietà orizzontale. Un passo decisivo nella elaborazione teorica di tale prospettiva è rappresentato dall’opera di Peter Berger e di Richard John Neuhaus, i quali nel 1976 scrissero una monografia dal titolo emblematico To Empower People. Il saggio di Berger e di Neuhaus rappresentò un punto di svolta nell’analisi sulle politiche pubbliche ed è considerato uno strumento di riflessione di grande originalità nell’ambito delle scienze sociali. In modo particolare, gli autori sono riusciti a riunire in un’analisi sistematica – il paradigma della sussidiarietà – tutta una serie di concetti che fino ad allora erano stati trattati in modo parcellizzato; in secondo luogo, sono riusciti ad intercettare e a dare una risposta convincente alla crescente insoddisfazione che accomunava progressisti e conservatori nei confronti della politica pubblica di quegli anni. To Empower People, dunque, propose un nuovo paradigma per la riflessione sulle scienze sociali, suggerì un nuovo metodo di analisi delle problematiche connesse alle politiche pubbliche e promosse un dibattito tra i fautori dell’interventismo statale ed i sostenitori della centralità della società civile che ha consentito, quantomeno, di incrinare la diffusa equazione in base alla quale il “bene comune” equivale al “pubblico” ed il “pubblico” equivale allo “Stato apparato”; ne consegue logicamente che il “bene” finisce per coincidere con quanto voluto e deliberato dalla “cricca” momentaneamente al potere. Il paradigma della sussidiarietà orizzontale presuppone una massiccia dose di umiltà nell’affrontare le questioni di natura politico-sociale e la consapevolezza che non esiste tentazione peggiore per chi si occupa di questa materia che ricercare la perfezione a scapito del realismo: bisognerebbe evitare che “l’ottimo diventi nemico del bene”. L’umiltà alla quale facciamo riferimento, tuttavia, non è un mero sentimento, ma una prospettiva epistemologica ed antropologica, un autentico approccio all’analisi sociale che scaturisce dal rifiuto di ogni forma di perfettismo sociale. Qui torna l’insegnamento di uno dei padri fondatori degli Stati Uniti ed autori del Federalist, James Madison, in quale in Federalist 51 scrive: “Se gli uomini fossero angeli non occorrerebbe alcun governo. Se fossero gli angeli a governare gli uomini, ogni controllo esterno o interno sul governo diverrebbe superfluo. Ma nell’organizzare un governo di uomini che dovranno reggere altri uomini, qui sorge la grande difficoltà; prima si dovrà mettere il governo in grado di controllare i propri governanti, e quindi obbligarlo ad autocontrollarsi. Il dipendere direttamente dal popolo rappresenta indubbiamente il primo e più importante sistema di controllo sul governo; ma l’esperienza ha dimostrato la necessità di precauzioni supplementari”. Ciò che il paradigma della sussidiarietà (o dei corpi intermedi) propone è un’alternativa al sistema assistenzialista e statalista, il quale ha prodotto, al di là delle buone intenzioni, elefantiache burocrazie, generale corruzione e diffusa irresponsabilità; è la proposta di un sistema di coesione sociale fondato sulla libertà, sulla creatività, sulla responsabilità e sul senso di solidarietà degli individui; un sistema che, partendo dal basso, pur non essendo dispensato dalla fallibilità e dall’ignoranza che caratterizzano la costituzione fisica e morale di tutti gli uomini, possa maggiormente ovviare alle patologie che ormai interessano i nostri modelli di welfare.

Una ricetta di federalismo per l’Italia, coerente con questo approccio non solo giuridico-costituzionale al fenomeno federalista, è offerta dal nuovo “Focus Paper” del Centro Studi e Documentazione Tocqueville-ActonQuale modello di federalismo per l’Italia?”.

Da un lato, contenimento del potere politico attraverso i) il ripensamento dei livelli di governo esistenti, ii) l’attuazione della sussidiarietà verticale, iii) l’introduzione di meccanismo concorrenziali tra ordinamenti regionali; dall’altro, concreta attuazione della sussidiarietà orizzontale. Questa, in sintesi, la ricetta di federalismo per l’Italia intorno alla quale il Centro Tocqueville-Acton auspica si avvii una serena e costruttiva discussione sul futuro del nostro Paese.