Quale imprenditore investirà mai per salvare il patrimonio artistico italiano?

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Quale imprenditore investirà mai per salvare il patrimonio artistico italiano?

15 Gennaio 2012

Chissà se nelle orecchie di Della Valle risuoneranno in questi giorni le parole con cui Antonio Ratti, grande industriale comasco della seta, rispose a chi gli domandava come mai scelse di sostenere a inizio degli anni Novanta il Metropolitan Museum di New York e non un’istituzione culturale italiana: “Non esiste una realtà simile in Italia, e inoltre quello che mi è stato proposto è un progetto con un crono programma preciso che il MET si è impegnato a rispettare”. E, avrà probabilmente pensato, negli Stati Uniti non avrò tutti quei problemi in cui potrei incorrere in Italia. Così, quando il 12 dicembre 1995 si inaugurò l’Antonio Ratti Textile Centre and Reference Library, specializzato nel restauro di oggetti tessili e dedicato alla tutela della ricchissima collezione del museo newyorchese, si concluse un percorso ideale che portò un fornitore – il Gruppo Ratti confezionava foulard per il merchandising del MET – a divenire un autentico mecenate.

L’impegno economico – oltre 10 milioni di dollari – non fu indifferente e, con le dovute proporzioni, è pienamente paragonabile a quello che il Gruppo Tod’s ha deciso di investire nel recupero del Colosseo. Ben diversa l’accoglienza ricevuta, anche tenendo conto della dovuta differenza tra le due realtà: l’uno un museo privato nato per opera della munificenza dei magnati della Grande Mela, l’altro un monumento archeologico statale. Il Cavalier Ratti, oltre ad avere l’onore del nome associato a questo centro di eccellenza del MET, fu iscritto come membro d’onore al trust, entrando a far parte a tutti gli effetti della “famiglia” del museo, e la fondazione a lui dedicata, gestita dalla figlia Annie, prosegue un dialogo operoso con la direzione scientifica di questa prestigiosa istituzione.

Diego Della Valle si è scontrato invece con molteplici ostilità burocratiche, interne ed esterne alle amministrazioni coinvolte, un’indagine aperta alla procura di Roma, una richiesta di sospensiva al TAR del Lazio e una nota di censura del Codacons nei confronti del Ministro Ornaghi per aver ricevuto il patron del gruppo calzaturiero con cui si chiede, tra l’altro, di “ottenere copia del verbale della riunione in oggetto, anche ai fini del ricorso pendente al Tar del Lazio”.

Il rischio, comunque finirà la vicenda, è che difficilmente in futuro un imprenditore italiano o straniero deciderà serenamente di sostenere un grande progetto culturale in Italia – qui il primo pensiero va alla cordata francese che dovrebbe intervenire a Pompei. E la nuda verità, almeno per quanto riguarda il Colosseo, rimarrà quella scolpita nelle parole della sua direttrice, Rossella Rea: “I soldi per restaurare il monumento lo Stato non li ha. A malapena, con il denaro ricavato dagli ingressi dei visitatori, riusciamo a finanziare la manutenzione ordinaria. Per gli interventi straordinari resta ben poco”. Questo a meno che le istituzioni, la politica e il privato non superino invidie, rancori e dietrologie e trovino il coraggio di lavorare veramente insieme per il superiore interesse del patrimonio culturale italiano, che sinceramente merita ben altro rispetto a ciò cui stiamo assistendo in questi giorni.