Quale sarà l’economia del Medio Oriente dopo la morte di Bin Laden?
03 Maggio 2011
L’uccisione di Osama Bin Laden potrà avere importanti effetti economici di medio-lungo termine, in quattro tematiche in particolare. La prima è la percezione del rischio nei trasporti aerei, in connessione con possibili atti di terrorismo. La seconda è la percezione del rischio con riguardo al turismo internazionale in località che possono essere oggetto di attentati terroristici. La terza è l’economia del petrolio e del gas naturale, in relazione ai rischi connessi alle operazioni in paesi in cui ci sono stati e ci sono attentati terroristici e in relazione al regime politico di dittature militari o religiose carismatiche. La quarta, forse la più rilevante, riguarda le prospettive di sviluppo nell’area economica mediterranea e mediorientale e si intreccia con le prime tre, ma in particolare con la penultima.
La portata di questi effetti, peraltro, è difficile da determinare e controversi perché in questi anni gli economisti e gli econometrici hanno studiato minuziosamente il terrorismo internazionale, con una enorme massa di dati, raccolti nei computer e classificati scientificamente, con metodi quantitativi avanzati. Ma lo hanno fatto sopratutto considerando tre aspetti: le vittime, gli attentatori e i luoghi ove sono avvenuti gli attentati. E non molto considerando le organizzazioni che li effettuano. Così l’analisi economica e manageriale di tali organizzazioni è ancora inadeguata. E pertanto non è chiaro sino a che punto queste organizzazioni abbiano perso efficacia ed efficienza a causa della morte di Bin Laden.
Vi è chi sostiene che egli oramai era solo un capo ideologico e chi afferma che era anche un capo operativo o comunque un punto di riferimento per la unitarietà dell’internazionale del terrorismo anti capitalistico di matrice islamica fondamentalista. Va tenuto presente che da quando è caduta l’Unione Sovietica, e da quando il comunismo cinese si è occidentalizzato ed intriso di affari con l’economia di mercato, la sfida ideologica e quella armata al sistema capitalistico è passata al fondamentalismo islamico che conduce la guerriglia del terrore collegandosi all’anticolonialismo africano e mediorientale in relazione allo sfruttamento delle risorse petrolifere e naturali del Medio Oriente e dell’Africa e alle tensioni etniche e nazionalistiche contro il neocapitalismo asiatico, di alcuni paesi emergenti dell’Asia, come il Pakistan.
Qui Bin Laden, creatore di questo movimento teorico e operativo di ampio respiro aveva trovato albergo e, a quanto pare, prolungata protezione. Ma non è chiaro se le organizzazioni che fanno parte dell’internazionale del terrorismo di cui egli era il leader politico ed il simbolo ideologico siano entità gerarchiche fortemente verticalizzate, in cui è fondamentale il capo, una sorta di imprenditore del terrore, oppure se si tratti di organizzazioni che hanno al vertice un apparato burocratico, che si forma ed emerge nella sua tecno struttura per cui il capo può essere agevolmente sostituito da altri membri apicali del vertice.
Inoltre non è neppure chiaro se tutte le organizzazioni terroristiche sino a ieri l’altro capeggiate o orientate tecnicamente dall’internazionale del terrore anticapitalista islamica siano di tipo gerarchico verticalizzato oppure se molte o alcune di loro siano, invece, piccole fazioni, che stanno insieme solo a causa della ideologia comune. E c’è la questione, che non sembra molto trattata dai politologhi e dagli economisti che si occupano di questi temi, dei canali di finanziamento di queste organizzazioni.
Quale era il ruolo di Bin Laden nella raccolta e nella canalizzazione dei finanziamenti dell’internazionale del terrore? A chi versavano e versano i fondi le potenze petrolifere mediorientali che simpatizzano per l’internazionale del terrorismo o la temono? Bin Laden era molto rilevante, almeno come sponsor, in questi flussi finanziari? Nel caso di una risposta affermativa gli effetti economici della sua uccisione sarebbero molto maggiori che nella ipotesi negativa , perché potrebbe ridursi di parecchio la linfa finanziaria della guerriglia anticapitalista e anticolonialista contro l’Occidente evoluto e contro Israele.
Tuttavia, anche se le informazioni su ciò, almeno per gli osservatori esterni, sono limitate (è probabile che i servizi segreti abbiano informazioni molto migliori) si possono porre alcuni punti fermi, utili per la nostra analisi. Innanzitutto, le reti di coordinamento di Al Qaeda sono almeno due: una con il suo hub nel Medio Oriente e un’altra con il suo hub nel Pakistan. Bin Laden aveva il comando diretto di quella pakistana con estensione in Asia, mentre su quella mediorientale ed africana esercitava una guida ideologica, culturale e politica molto importante, ma indiretta, consistente nella sfida del terrorismo al capitalismo.
Entrambe le reti che ho appena menzionato hanno una sfera di azione internazionale, motivata dalla guerra al capitalismo, con la convinzione di una superiorità spirituale e culturale, nella quale entrava ed entra anche la invincibilità dei capi. Una specie di ideale di Davide che sconfigge Golia. Ora che Bin Laden è morto, non per cause naturali, ma per opera di un commando militare degli Usa, questa nozione di invincibilità risulta scossa. Anche i capi delle organizzazioni anticapitalistiche dotate di un loro cemento ideologico e addestrate alla guerriglia possono essere uccisi dai commandos militari occidentali, che hanno mezzi tecnologici superiori, con cui suppliscono ampiamente al fatto che i loro membri non hanno la capacità di immolarsi dei guerriglieri anti capitalisti ed anti colonialisti. Il messaggio vale non solo per l’internazionale del terrore, ma anche per i dittatori che comandano con il terrore.