Qualunque cosa faccia il Pd rimane sempre un partito di apparati

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Qualunque cosa faccia il Pd rimane sempre un partito di apparati

Qualunque cosa faccia il Pd rimane sempre un partito di apparati

30 Ottobre 2007

Panebianco sul Corriere
auspica che Veltroni riesca a costruire un partito democratico a
forte vocazione maggioritaria, così da vedere anche in Italia una dura e
produttiva competizione tra due soggetti politici ad un tempo compatti ed
irriducibili. Il problema è che, per avere tutto ciò, il Pd non dovrebbe
nascere come sta nascendo, cioè sotto l’egida di due gruppi di potere sociale
ed istituzionale, i Ds e i Dl, fusi e in larga parte con-fusi insieme. Non ci
sono le premesse per un’operazione decisamente maggioritaria.

Se il Pd fa a
meno delle tessere, perde quasi tutto il suo gruppo dirigente, il che non è
logicamente accettabile da parte di nessun leader, Veltroni incluso. Rispetto
poi alla possibilità di creare la sponda per una grande coalizione tra Pd e Fi,
anche qui mi pare osti la conditio sine qua non della genesi del Pd: il governo
Prodi e, a fortiori, Prodi in quanto tale. Prodi come persona fisica e leader
politico mancato, Prodi e il suo pertinace fallimento, pluridecennale, se
facciamo due conti. Direi anche il prodismo come ideologia del “resistere,
resistere, resistere” su base tecnocratico-funzionalistica-ricattatoria. A
riprova di ciò, sta oggettivamente il contenuto essenziale del discorso di
Veltroni a Milano, tutto antiberlusconiano, e giocoforza, sommamente incapace
di registrare gli sbalzi politici dell’attuale maggioranza, anche qui
giocoforza.

Un partito che nasce sotto l’egida di un governo in permamente
minorità politica, è destinato, checché ne dica Fini, a rimanere minoritario
sul piano politico. A dettare, quindi, alla politica nazionale ed alla
mitizzata società civile un “minority report”. La discontinuità con la
struttura partitocratrica novecentesca la vede solo Scalfari; qui vi è ben
altro e qualcosa di ben diverso: il Pd non è né pesce, né carne. E’ troppo per
essere soltanto una lobby, è troppo poco, sul piano politico-progettuale, per
essere una novità. Non solo. A ben guardare, il Pd nasce anche con un vuoto
interno difficilmente colmabile, un vuoto di prospettiva, come ho già avuto
modo di scrivere, ma che, rileggendo il discorso di Veltroni, appare anche, e
non poteva che essere così, un vuoto di analisi della realtà antropologica e
culturale contemporanea.

Questa società è la società dei singoli, di fronte ai
quali si stagliano non tanto i partiti, piuttosto evanescenti e certamente non
nel cuore dei cittadini, né i più giovani, né i quarantenni o di mezza età,
quanto i gruppi. Gruppi economici, finanziari, sociali e culturali,
aggregazioni più o meno complesse e strutturate, comunque capaci di dare ordine
e stabilità alla vita dei singoli, in grado di catturare i loro desideri e
soddisfare i loro bisogni, soprattutto economici. E l’economia è oggi il primo
punto che la politica deve fronteggiare. Non i valori, non la religione come
tessuto connettivo della vita, ma le condizioni materiali dell’esistenza, con
tutto il portato di realizzazione individuale che esse comportano. A questo
livello, i partiti oggi possono fare ben poco. Fragili, in difficoltà, talvolta
addirittura indifesi perfino di fronte a un Grillo qualunque, cosa mai potrebbe
proporre ai singoli postmoderni? Ai nuovi flessibili cittadini e lavoratori di
oggi?

Questa considerazione non cozza con i dati statistici e sociologici
prodotti da Diamanti sulla Repubblica,
i quali ci mostrano i giovani come soggetti attivi nel sociale e nel
volontariato, nonché partecipi nella politica. La politica, per i giovani, non
è più un luogo formativo e di sviluppo del proprio capitale umano, ma è un mix
di utopia e/o di volontarismo soggettivistico, oppure, nella peggiore delle
ipotesi, uno spazio in cui far circolare un certo quantitativo di rendite
monetarie nelle proprie tasche. Null’altro che questo. I singoli sono così: o
utopisti-volontaristi o disincantanti-affaristi. Giudizio, questo, che non
implica alcuna valutazione morale, trattasi meramente di pura e semplice
constatazione.

Dunque, il Pd, che ha visto in fila a votare pochi giovani e
molti anziani, ha questa configurazione specifica, di partito di apparati, non è
un atto d’accusa, è un fatto. La genesi di un fenomeno ne determina infine gli
sviluppi: se p, allora q. E’ logica ipotetico-deduttiva, pura e semplice. Dunque,
la vocazione maggioritaria, stante questo contesto, non potrà darsi con molta
facilità, né potrà realizzarsi un’esplosione della società civile dei singoli,
perché questi ultimi sono alquanto impermeabili alla logica, tipicamente
partitica, della politique d’abord. L’operazione del Pd chiude definitivamente
il ciclo storico della sinistra senza fare i conti con quanto i democratici
americani e i laburisti post-blairiani stanno affrontando da tempo: la società
flessibile dei singoli.

L’ideologia progressista e democraticista è scaduta
come la classica mozzarella e, crollato l’assetto ideologico novecentesco, la
democrazia è diventata più un problema che una risorsa. La gigantesca
problematica della sicurezza, connessa all’immigrazione ed a una certa idea
dell’immigrazione, idea appunto veteroprogressista e democraticistica, conferma
tutto ciò, se mai ve ne fosse ancora bisogno. Così, il Pd si candida sì a
qualcosa: a diventare il “caso serio”, nel senso della gravità del vuoto, della
politica italiana. In un contesto, altrettanto serio, di crisi storica dello
Stato e della società.