Quando i niet sindacali frenano solo il lavoro

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Quando i niet sindacali frenano solo il lavoro

Quando i niet sindacali frenano solo il lavoro

02 Marzo 2012

La disoccupazione in Italia è in aumento. In gennaio, secondo i dati Istat, è giunta al 9,2%, seguendo una tendenza generale al peggioramento, comune a tutta l’Europa a 27. In particolare,l’Eurozona soffre per la crisi dell’euro, ora di molto attenuata, ma soprattutto per le nuove imposte e i tagli di spesa dei bilanci pubblici, rivolti a contenere i deficit e quindi i livelli di indebitamento sul pil, che generano una riduzione di domanda, non controbilanciata da politiche attive rivolte a stimolare l’offerta.

Nell’Europa a 27, ormai, la disoccupazione sfiora il 10%, essendo giunta in gennaio al 9,9.Nell’Eurozona essa lo ha superato, essendo arrivata al 10,4 per cento.

Una parte dei nuovi disoccupati consiste nei lavoratori per i quali è spirata la cassa integrazione straordinaria. Per l’Italia, però, Eurostat,che usa un sistema di calcolo diverso da Istat, stima la disoccupazione all’8,9%. Rispetto al gennaio dello scorso anno, l’aumento è di 0,4 punti percentuali sia per l’Eurozona sia per l’Europa a 27. Per l’Italia il rialzo, con i dati Istat, è di 1 punto percentuale, un po’ meno con Eurostat. Va però detto che, nel frattempo, da noi è aumentata la popolazione attiva, e quindi in realtà l’occupazione non è diminuita, ma aumentata passando da 22,900 a 22,940 milioni. Preoccupa molto la disoccupazione giovanile, delle persone cioè tra 15 e 24 anni, arrivata al 31%, uno 0,1 in più rispetto a dicembre. E che, dunque, è oltre tre volte la media nazionale.

Anche se bisogna fare la tara su tale cifra, in quanto molti giovani lavorano senza contributi nelle ditte e negli uffici di parenti e amici, in base al principio che la pensione se la faranno in seguito, comunque la percentuale di giovani disoccupati italiani è una chiara anomalia nei confronti internazionali. Indica la necessità di una riforma del mercato del lavoro, indirizzata alla flessibilità e alla produttività, che aiuti sia i giovani a inserirsi nel mercato del lavoro, sia i meno giovani che hanno perso il posto a ottenerne uno e che, in genere, accrescendo la competitività e l’efficienza dell’economia generi più reddito e più export, e quindi più posti di lavoro. In Germania, i giovani disoccupati sono il 7,8%, con una disoccupazione media del 5,5 per cento, solo 2,6 punti oltre la media, pari al 40% in più rispetto a essa; non tre volte tanto come in Italia. Sino a pochi anni fa la disoccupazione in Germania era il grande problema (era attorno al 9%) poi, con la riforma del mercato del lavoro, la macchina economica tedesca è cambiata. La riforma del mercato del lavoro in Italia, invece, dopo la riforma Biagi, attuata dal centro-destra, continua a essere bloccata, nonostante le iniziative assunte dall’ex ministro Maurizio Sacconi con le sue politiche miranti ai contratti di produttività e con l’articolo 8 del decreto di agosto, che consentiva di superare attraverso la contrattazione aziendale gli ostacoli alle assunzioni e all’efficienza aziendale frapposti dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nella rigida interpretazione data dalle sentenze dei giudici del lavoro, avvalorate dalle Corti d’appello e dalla Cassazione. L’ad di Fiat, Sergio Marchionne, ha varato contratti aziendali innovativ , che sono stati bloccati dal no dell’ex capo della Cgil, Guglielmo Epifani, e poi dal nuovo segretario, Susanna Camusso, con rigidità ancora maggiore.

La Confindustria di Emma Marcegaglia ha detto «ni» e Fiat è stata costretta a uscire da Confindustria. Sacconi ha varato norme che permettevano di superare le rigidità dell’articolo 18 stabilendo nei nuovi contratti la possibilità di ricorrere ad arbitrati volontari anziché ai tribunali. Nuovo no della Cgil e caduta della norma. Poi l’ex ministro ha varato l’articolo 8 a sostegno dei contratti aziendali con la possibilità di interpretazioni liberalizzatrici dell’articolo 18. E ancora no della Cgil, seguito dai «ni» di altri sindacati e Marcegaglia. Camusso e la Fiom ora dicono un altro no alla riforma dell’articolo 18 che hanno in progetto il ministro Elsa Fornero e il premier Mario Monti. Da anni, poi, la Cgil spalleggia i «no Tav» della Valle di Susa che ne hanno bloccato i lavori, che creerebbero un’ingente occupazione diretta e indotta.

Senza le riforme liberali del mercato del lavoro la disoccupazione aumenta e si accresce quella giovanile, mentre l’economia ristagna o va in recessione. Sono questi no che generano, con la loro falsa socialità, il più grande problema sociale del nostro Paese.

(tratto da Il Giornale)