
Quando l’integrazione diventa la scusa per far fuori il cristianesimo

18 Novembre 2019
di Carlo Mascio
Leggendo il titolo qualcuno avrà sicuramente detto o pensato ironicamente: “ma va’? Non lo sapevo”. Giustamente. Tuttavia, tenendo presente il contesto culturale sempre più relativista in cui siamo immersi, abbiamo ancora più bisogno di dire dire le cose come stanno e chiamarle con il loro nome. Sì, molte volte l’integrazione è diventata la scusa laicista per fare fuori il cristianesimo.
Prendiamo solo l’ultimo caso, quello della scuola di Moie, vicino Ancona. Alcune maestre, in nome del rispetto nei confronti dei bimbi di altre religioni, avevano deciso di rinunciare alla tradizionale recita di Natale. Salvo poi tornare sui solo passi su invito della Preside e delle autorità locali. E qui stiamo parlando di un piccolo centro, non di una metropoli!
Ora, senza alcun giudizio nei confronti di nessuno, tanto meno verso le insegnanti (siamo certi che avranno agito in buona fede), allargando l’orizzonte, viene da chiedersi: ma siamo sicuri che ritirare od oscurare ciò che è nostro significhi effettivamente “fare integrazione”?
Proprio per essere puntigliosi, siamo andati a vedere l’etimologia del termine “integrare”. E abbiamo scoperto che deriva da “integro”, ovvero “ciò che è completo, ciò a cui nulla manca, illeso”.
Integrare, seguendo questa linea, significa dunque introdurre l’altro in una realtà senza nulla togliere alla stessa. Solo così c’è integrale accoglienza dell’altro. E come se invitando una persona a pranzo a casa mia, io dovessi cambiare casa per far sentire il mio ospite più a suo agio. Ma in questo modo, forse, non mi sentirei io a mio agio e di conseguenza non farei sentire nemmeno l’altro “a casa”. Semplicemente perché anche io non ci sono più dentro.
Questo per dire che integrare significa accogliere, e accogliere significa fare spazio all’altro nella mia realtà così com’è, con le sue bellezze e i suoi difetti. Questo è vero rispetto per l’altro, questo significa essere veri con l’altro, il quale per il semplice fatto che esiste è meritevole di rispetto. Solo introducendo l’altro “a casa mia” posso donargli del mio e lui darmi ciò che è suo. Se invece io mi annullo per far posto all’altro, non avrò nulla di che donare se non la mia rabbia di non sapere più chi sono. Questo sta avvenendo in Occidente!
Eppure, basterebbe tornare ai “fondamentali” della relazione umana per capire che le persone – ma anche le religioni-, si incontrano e da questo incontro può nascere un dialogo, partendo dalle proprie identità. Ed è proprio nell’incontro che, magari contemplando la reciproca bellezza, ci si smuserrà a vicenda, non certo pretendendo di compiere questa operazione a priori e “a prescindere” per mero rispetto.
Ecco, chiarito questo, forse si coglie meglio il carattere laicista e relativista dell’operazione che in nome del politically correct vuole rispettare alcuni, mancando di rispetto ad altri (tanti, per la verità). Ecco perché è importante dire che disintegrare i principi di una religione “per rispetto” di un’altra non ha nulla a che fare con il rispetto, è una discriminazione mascherata. Questo, probabilmente, fa capire che l’obiettivo non è integrare l’altro ma usare (si usare!) l’altro per distruggere qualcosa (o Qualcuno). Conclusione: non si rispetta nemmeno chi ci si propone di integrare.
Eppure se veramente i principi cristiani danno così fastidio, che male sarebbe nel dirlo apertamente? D’altronde nessuno ha mai imposto la salvezza o la fede. Nemmeno Cristo! Tutto il cristianesimo è intriso di parresia e libertà. “Vuoi guarire?” arriva a dire Gesù al paralitico della piscina di Betzata. Chi non vorrebbe guarire in quelle condizioni! Ma Gesù “chiede”, entra in punta di piedi.
Chi invece non chiede ma vuole solo imporre e basta una scristianizzazione, allora forse ha qualcosa da temere. E, si sa, i totalitarismi (quelli veri) nascono sempre da una paura…