Quanto costerà agli americani l’Obamanomics ambientale?

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Quanto costerà agli americani l’Obamanomics ambientale?

31 Gennaio 2009

Il piano di rilancio dell’economia americana sarà verde. Il nuovo presidente Barack Hussein Obama, lo ha annunciato a chiare lettere: raddoppiare le fonti rinnovabili in 3 anni, lanciare il più grande piano di restauro di edifici pubblici, scolastici e abitativi per renderli compatibili con i nuovi criteri di risparmio energetico, spingere l’industria automobilistica a produrre auto ecologiche, finanziare la ricerca sullo sviluppo sostenibile. Queste sono le linee guida del piano Obama, a fianco del potenziamento delle infrastrutture e dell’informatizzazione del Paese: è dunque già evidente da oggi la forte impronta verde che verrà lasciata da questi quattro anni di amministrazione.

Ma tutto questo si era già visto e non aveva lasciato un bel ricordo agli americani. Come spiega Michael Lynch, ricercatore del Mit e presidente dello Strategic Energy and Economic Research (il cui studio è stato pubblicato mercoledì dall’Istituto Bruno Leoni), il presidente Jimmy Carter aveva dettato un’agenda di politica energetica molto simile. Nella seconda metà degli anni ’70, gli ecologisti avevano paura di un raffreddamento globale, mentre oggi va di moda la teoria del riscaldamento globale. Anche allora i Paesi arabi produttori di petrolio mantenevano alti i prezzi: all’insediamento di Carter erano passati appena due anni dallo “sciopero” dell’Opec. Si parlava, anche allora, di irreversibilità del rialzo del prezzo al barile, pensando alla fine imminente (si pensava al primo ventennio del 2000) delle riserve di petrolio. Cosa che rendeva competitiva le nuove fonti rinnovabili. Carter lanciò la sua triplice offensiva verde esattamente come Obama: auto ecologiche, risparmio energetico, fonti rinnovabili. Non ha funzionato nessuna delle tre. Il mercato delle auto ecologiche non ha retto la competizione: gli americani sono tornati ben presto a comprare grandi macchinone che consumano tanta benzina; le fonti rinnovabili (soprattutto il fotovoltaico) si sono rivelate anti-economiche e a parte i pannelli solari simbolicamente installati alla Casa Bianca, non hanno sostituito, se non in minima parte, le fonti tradizionali. Il petrolio, lungi dall’essere in via di esaurimento, è tornato a costare poco e a rendere non competitiva l’alternativa verde.

Se negli anni ’70 la politica di Carter ha fatto flop, perché dovrebbe funzionare oggi? Le condizioni sono simili, con l’aggiunta di una grave crisi economica. Obama ha moltissimo credito presso l’opinione pubblica statunitense (due terzi del consenso) e promette, al momento giusto, la nascita di 5 milioni di posti di lavoro a fronte di una spesa di appena 150 miliardi di dollari. Li chiamano già “green collars”, i colletti verdi, una nuova categoria di lavoratori che si affiancheranno, nella nuova economia eco-compatibile, ai loro colleghi dal colletto bianco e quelli dal colletto blu. Da un punto di vista politico la mossa è dunque impeccabile: promette crescita, creazione di milioni di nuovi posti di lavoro e promuove una teoria che piace agli intellettuali già da più di un trentennio. Ma da un punto di vista pratico, è molto difficile che la nuova politica ambientalista funzioni più di quella promossa, a suo tempo, da Jimmy Carter. Il petrolio non è in via di esaurimento e il suo prezzo non è destinato a crescere in eterno. Lynch calcola che in totale possiamo disporre di una riserva di 8-10mila miliardi di barili di petrolio. Giusto per dare un’idea delle dimensioni: in 150 anni ne abbiamo consumati un decimo del totale. Altri 2 miliardi e mezzo di barili di petrolio sono recuperabili con la tecnologia attuale. Lungi dall’essere vicini alla fine della fonte energetica fossile, il prezzo può ancora diminuire. E dai tempi della campagna elettorale di Obama ad oggi, è passato da una media di 150 dollari al barile al prezzo attuale inferiore ai 40. Il mercato dell’energia ha quindi già reso poco conveniente l’alternativa del rinnovabile, in grado di sopravvivere solo grazie ai sussidi statali. Con l’unica eccezione dell’energia eolica, che però può funzionare (almeno per ora) solo in aree con un forte vento costante, le altre rinnovabili, soprattutto il fotovoltaico, sono semplicemente troppo costose per i consumatori. A fare i conti in tasca alla nuova politica verde di Obama, in America è soprattutto la rivista Reason, vicina all’ambiente libertario. Il giornalista Jacob Sullum riferisce che il costo del piano presidenziale potrebbe essere quattro volte superiore rispetto a quanto annunciato: il Gruppo Apollo, associazione ambientalista e ispiratrice del programma, calcola 500 milioni, non i 150 dichiarati da Obama.

Il mercato non è favorevole neppure all’auto ecologica. Nel 2002, le auto nella categoria che consuma di più, fra cui i famigerati Suv, costituiscono più del 50% del mercato dell’auto su scala nazionale. Più della metà degli americani guida un’auto che è considerata, negli standard federali, un “camion leggero”. Le auto ecologiche sono il 2% del mercato. Nessuno dei 10 veicoli più scelti negli Stati Uniti è un’auto a basso consumo. Eppure la nuova amministrazione, andando contro le leggi della domanda e dell’offerta, vuole imporre l’auto ecologica. Già nel 2007 il Congresso aveva votato per l’innalzamento degli standard federali di consumo (Cafe) di 8 miglia per gallone, sino a 35 miglia per gallone entro il 2020. Alcuni governi locali sono ancora più zelanti, come quello californiano, che intendono innalzare il numero di miglia per gallone a 42,5 entro il 2020. Obama ha già dichiarato che, contrariamente alla resistenza opposta dall’amministrazione Bush, lascerà libera la California di applicare i nuovi standard. Anche altri 13 stati (che in tutto costituiscono il 50% del mercato dell’auto americano) intendono puntare a una legislazione per il risparmio sul consumo.

Le case produttrici di auto devono pagare multe salatissime se non rispettano i paletti anti-consumo e sono costrette a spendere di più per la ricerca. Considerando che la moda dell’auto ecologica non è ancora attecchita fra i consumatori, ci si attende, quale primo effetto, un aumento generale dei prezzi. Una volta applicati i nuovi standard, il governo della California prevede un aumento di 400 dollari per auto, la General Motors di 6000 dollari per auto; la stima intermedia, quella della Energy Information Administration, parla di un futuro aumento di 1900 dollari per auto. In ogni caso, tenendo conto sia delle stime più ottimiste che di quelle più pessimiste, verrebbe eguagliato o superato il denaro risparmiato dagli autisti grazie al minor consumo di carburante dei nuovi modelli di auto. Secondo Obama, nel corso della sua amministrazione, verranno risparmiati 2 milioni di barili al giorno. La rivista Reason calcola che il risparmio medio per consumatore andrà da 150 dollari (in caso di un prezzo di 1,5 dollari al gallone) a 400 dollari all’anno (se il prezzo al gallone dovesse salire a 4 dollari). Quindi, anche in questo caso, l’incentivazione dell’auto ecologica si rivela una misura anti-economica, fuori mercato.

Perché ci si dovrebbe attendere la crescita dell’impiego in settori fuori-mercato? I 5 milioni di posti di lavoro promessi da Obama dovrebbero essere l’equivalente dei lavori socialmente utili ai tempi del New Deal di Roosevelt. Che infatti (fino allo scoppio della II Guerra Mondiale) non ha affatto ridotto la disoccupazione. Ma se i consumatori non alimentano la domanda di un bene prodotto, chi lo produce cessa di essere “socialmente utile”, diventa una mera passività di bilancio, uno spreco di Stato. Se l’economia verde di Obama dovesse fallire, non ci sarebbe un rilancio dell’economia, né del mercato del lavoro, ma una spesa in più per i consumatori e i contribuenti.