Quanto si può credere al volto rispettabile dei Fratelli Musulmani?

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Quanto si può credere al volto rispettabile dei Fratelli Musulmani?

16 Febbraio 2011

Una parte della stampa internazionale ha paragonato la rivoluzione del popolo egiziano alla caduta del Muro di Berlino dell’89. Sebbene il paragone sia suggestivo ed affascinante è, in realtà, storicamente scorretto ed un errore nell’analisi politica. Germania ed Egitto sono due paesi culturalmente, socialmente e politicamente tanto diversi che un paragone è semplicemente impossibile. E’ per questo che forse bisognerebbe provare ad interpretare gli scenari possibili in Egitto senza andare alla ricerca di modelli o ricorsi storici negli avvenimenti dell’89.

Il futuro dell’Egitto è e resterà un’incognita ancora per qualche mese. Dopo trent’anni di regime gli scenari possono essere molto diversi. Del resto le forze politiche in campo sono molte e diverse l’una dall’altra ed, inoltre, ci sono numerose varabili che possono incidere sul futuro del paese del Maghreb. Inoltre, se si tiene conto che stiamo parlando di un paese che si trova in una regione nella quale la democrazia liberale è un’eccezione e che l’Egitto di Mubarak, nonostante fosse a maggioranza islamica, aveva ottimi rapporti politico-economici con Israele e l’intero Occidente, è facile immaginare quanto sia complessa ed imprevedibile la partita che si gioca oggi a Il Cairo.

La questione che più preoccupa l’Occidente è legata a quali forze assumeranno la guida del paese. In Europa come negli Stati Uniti la maggiore preoccupazione è, del resto, rappresentata dalla possibilità di un’ascesa dell’islamismo. Sebbene al momento il potere politico sia stato preso dai militari (fattore tradizionale e di non particolare novità nelle regioni del Maghreb e nel Medio Oriente), il partito dei Fratelli Musulmani resta la forza di opposizione più forte e strutturata. Se, come sembra, entro sei mesi si svolgeranno libere elezioni, è presumibile che i Fratelli Musulmani si affermeranno come prima forza politica del paese. I timori in Occidente sono naturalmente comprensibili, considerato proprio che Mubarak era un fedele alleato degli Stati Uniti e dell’Europa e che negli ultimi anni ha ricevuto circa cinque miliardi di dollari dalla Banca Mondiale, di cui 2,2 solo nell’ultimo anno, come ha ricordato il presidente Robert Zoellick in un’intervista alla Frankfurter Allgemine Zeitung del 5 febbraio scorso.

Stando tuttavia alle dichiarazioni rilasciate del segretario generale dei fratelli musulmani Hussein Mahmoud in un’interessante intervista alla Frankfurter Sontagszeitung (FSZ) i timori sembrano ingiustificati. Hussein Mahmoud ha, infatti, affermato che sono necessarie nuove elezioni entro sei mesi, ha manifestato il proprio rispetto per i militari che hanno rappresentato un’istituzione stabile anche durante la crisi delle ultime settimane, ha ricordato l’esigenza e la necessità di una nuova società civile e di un nuovo sistema politico, ed infine, soprattutto, ha preso le distanze dell’ipotesi di uno stato teocratico come in Iran. Affermazioni che dovranno naturalmente trovare riscontro nei fatti, e che potrebbero essere inficiate dal "doppio standard" usato spesso dagli islamisti quando parlano rivolgendosi a un pubblico arabo e a quello occidentale, ma comunque si tratta di dichiarazioni responsabili e che lasciano ben sperare, anche perchè, in realtà, la vera incognita è rappresentata dalle forze armate.

Al momento i militari hanno il potere assoluto, ed il Consiglio supremo delle forze armate ha sospeso la costituzione in vigore e sciolto il Parlamento, che era espressione del regime di Mubarak. Saranno i militari a gestire temporaneamente il paese ed a guidare la transizione. E’ stato formato un collegio di esperti giuristi che dovrà riformare e riscrivere la costituzione che verrà poi votata dal popolo egiziano tramite referendum. A quanto sostengono i militari, la transizione durerà sei mesi dopodichè ci saranno elezioni parlamentari e presidenziali. Ora, gli analisti politici evocano principalmente due modelli di riferimento per l’Egitto del futuro. I più ottimisti fanno riferimento a quello turco in cui i militari portarono alla formazione di un sistema di partiti – con molti difetti ma sostanzialmente democratico. Dall’altra c’è però la seconda ipotesi: il pericolo che l’Egitto diventi un secondo Pakistan, ovvero una democrazia di facciata, perchè i militari, normalmente, non lasciano il potere così facilmente. Ed è proprio questo, forse, il timore principale in Europa.

Del resto, come ha ricordato il sociologo Nadji Safir in un’intervista alla “Presse” di Algeri e come si evince dalle parole rilasciate da Hussein Mahmoud alla FSZ, i militari sono sempre stati un fattore unificante dello Stato egiziano ed ora, con la fine del regime di Mubarak, riprenderanno il loro storico ruolo politico. Al momento in cui scriviamo c’è poi da registrare un altro elemento di novità che contribuisce a complicare il puzzle geo-politico. L’effetto domino è arrivato, infatti, in Iran. A Teheran ed in altre città minori i cittadini sono scesi in piazza a manifestare contro il regime di Ahmadinejad, tra l’altro, proprio a due giorni dall’arrivo di una anomala delegazione di parlamentari iraniani a Roma. Gli scenari dunque restano molteplici e le diplomazie europee sono ancora molto caute e non si sbilanciano.