Quegli intellettuali che si credono la “meglio gioventù” e sono già vecchi
12 Marzo 2010
Sempre in ritardo e con imbarazzanti pecche culturali. Come i comunisti. Sto parlando del gruppo di Fare Futuro che, a quanto pare, intende mimare il vate della mistica paganeggiante, Julius Evola: cavalchiamo la modernità. Siamo passati dalle foreste, in cui vive la tigre – Evola era per il “cavalcare la tigre” – alle metropoli, in cui pochi credono nel progetto palingenetico della modernità. Allora, già quel cavalchiamo la modernità è a dir poco reazionario. Un cortocircuito sostanziato di retorica sofistica e poco sofisticata. L’articolo di Urso, sul Secolo d’Italia – giornale diretto da un amico, Luciano Lanna (la linea la dà lui, infatti) -, è zero sul piano dell’elaborazione culturale e politica.
Vediamo perché. Innanzitutto, lo slogan: “Oltre la paura”. Decenni di insistenza retorica sull’ “oltre” dovrebbe averci condotti nell’alveo della modestia intellettuale: “oltre il socialismo”; “oltre l’economia”, etc. io dico: oltre-tutto e anche oltretutto, mi sembra tutto ciò un residuo ideologico che sa di scorie azotate in salsa ‘900. Comunicazione culturale e politica: zero.
Andiamo ai contenuti veri e propri, per così dire. Dall’articolo di Urso si ricava che l’Italia ha paura, gli italiani hanno paura e sono sfiduciati. Paura di se stessi e degli altri. Potrei dire sommessamente: cioè, sono normali, grazie a Dio. Chi non ha paura di qualcosa e di se stesso? La prudenza come virtù “negativa” – nel senso di inibizione delle peggiori pulsioni umane – nasce proprio da ciò, dalla paura. E non è neanche vero che la paura ammazzi la creazione, almeno nel tempo. Perché esiste lo stress, ma anche l’eu-stress, lo stimolo positivo a guardarsi intorno, in un ambiente minaccioso, e a rispondere, re-agire e poi elaborare la risposta. Ci sono biblioteche intere di letteratura di psicologia comportamentistica che dimostrano tutto ciò. E si tratta di roba del tutto “moderna”, dunque, per gente che vorrebbe “cavalcare la modernità”, bè, si lascia un po’ a desiderare, meglio Evola che, almeno, sapeva chi cavalcava, suppongo.
Andiamo avanti. Urso invita a riflettere sul fatto che la paura generi sfiducia (caspita, notevole intuizione…) e scetticismo (idem…); il popolo italiano, da sempre luminoso alfiere dei cambiamenti e della speranza, se ne starebbe lì piantato a tremare di paura. Infatti, la competizione con il mercato globalizzato viene praticata da Urso, non dalle PMI che tremano come foglie, dice lui, rette da italiani timorosi e impauriti. Come analisi politica da parte di un politico, peraltro, della contemporaneità italiana lascia anch’essa un po’ a desiderare. Ma la chicca è ovviamente la questione immigrazione: gli “altri”. Ma Urso dimentica che l’Italia è una terra strana, con gente strana. A volte accadono anche cose che soltanto gli ideologi di turno ignorano perché vogliono ignorare; un certo Karl Marx, che suggerisco a Urso di leggere (garantisco: è modernissimo…), chiamava questo fenomeno “falsa coscienza”. Ne abbiamo qualche prova replicata nei Vangeli, da quelle parti si chiama “fariseismo”. Gente strana, dicevo, gli italiani. Eh sì, perché i campioni dell’integrazione sono a Treviso e nel Veneto, dove viaggia a mille la Lega e fa a cqua da tutte le parti a Roma, dove vige il dominio destrorso-aennino, nella fattispecie: allora, come la mettiamo?
Infine. Il Pdl. Già, Urso & C. sono la “meglio gioventù”. Loro non sbagliano mai. Sono gli “altri” a sbagliare. Prima, con loro, nello stato nascente, c’era il “vero” Pdl, con gente viva e libera, laici tutti d’un pezzo, non scellerati populisti, imbarazzanti, anzi beceri, come direbbe qualche amico dalle parti del Secolo. Bene, allora, piccola domanda: come mai non hanno, lorsignori, pensato prima di lasciare questa combriccola di personaggi imbarazzanti? Non c’entrerà mica il fatto che entrare nel corpaccione imbarazzante leva dall’imbarazzo storico di dover dichiarare bancarotta politica come forza autonoma? Certo, qui c’è una notevole paura, mi sembra, manca il coraggio di un grande padre laico della modernità, Max Weber. E manca anche la coerenza e la decenza. Infatti, Fini a un certo punto, dopo aver azzerato, molto democraticamente, ovvio, le correnti in An, dopo il noto fattaccio della “Caffettiera”, è diventato il maestro della laicità, quella vera, moderna, anzi postmoderna, che con quel “post” fa più figo. Ha cessato di essere il padre, insieme a Bossi, di una legge sull’immigrazione, che è ancora legge dello Stato recante la sua firma, ed è saltato sul carro della “meglio gioventù”. Non ha spiegato a nessuna la nuova rotta, perché c’è stata, quali profonde radici essa avesse, no, ha incassato il dovuto nel Pdl e poi ha indossato il cinturone facendo un giorno sì e l’altro pure fuoco amico. Il tutto, naturalmente, sotto la bandiera della sacra modernità. Ovvero, di qualcosa che neanche più i pensatori laici e anti-cristiani sanno cosa sia; che il mondo non accetta più nella versione di sradicamento dei valori oggettivi e dei diritti-doveri naturali; che insomma soltanto i fare futuristi – i futuristi in sedicesimo, perciò senza futuro – accettano come un dogma da non discutere. Cavalchiamo la modernità, così si dice da quelle parti. Appunto. Quella modernità così discussa oggi che fa a cazzotti con il laicismo radicaleggiante e libertario. E’ proprio quel laicismo radical-libertario che ha condotto alla situazione di denatalità radicale nel nostro Paese. Non c’entra niente l’assenza di paura; c’entrano le ragioni per cui fare figli. Ragioni profonde, radicate nel cuore dell’uomo e della donna. Ma, per coglierle, non bisogna andare al convegno di Fare Futuro, forse bisognerebbe fare la riflessione che da tempo sta conducendo, senza replica pubblica da parte dei vari Sartori e fare futuristi, sulla centralità della questione demografica. Capisco. Loro, i fare futuristi sono, forse, in imbarazzo, perché la questione demografica riconduce alla verità di sempre: il numero è potenza. E, allora, si svolta, Piazza Venezia, no, un’altra volta. Magari nel prossimo convegno, quando verranno a spiegarci che il cavallo della modernità aveva il fiato corto. Come loro. Già oggi. Auguri.