Quegli undici spioni “svenduti” dalla Russia agli americani

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Quegli undici spioni “svenduti” dalla Russia agli americani

01 Luglio 2010

Undici americani accusati di attività spionistiche illegalmente per la Russia e di riciclaggio di denaro sono stati arrestati dall’Fbi lo scorso 29 giugno tra New York, Boston, il New Jersey ed Arlington, in Virgina, proprio dove la Cia e il Pentagono hanno i loro quartier generali. Gli undici, all’apparenza gente comune, componevano un network di spie mimetizzate per oltre dieci anni da perfetti cittadini americani. Il loro compito era contattare personalità di spicco dell’establishment per ottenere informazioni sugli aspetti più rilevanti della politica estera americana.

Messa così, la notizia rievoca le grandi storie di spionaggio che si consideravano sepolte insieme ai ricordi della Guerra Fredda. Ma la realtà dei fatti è diversa. Da un lato le spie usavano tecniche ormai primitive, come incontrarsi in luoghi pubblici affollati e far finta di scontrarsi per scambiare brevi informazioni a voce. Dall’altro lato gli undici comunicavano tramite una rete locale senza fili e addirittura trasmettevano dati con la tecnica della steganografia – inserire in una foto dati nascosti visibili soltanto con un apposito decodificatore. Ma Mosca, che finanziava con generosità le sue spie americane, non risparmiava critiche e delusioni per il loro lavoro: mancanza di fonti accertate e scarsità di informazioni. 

Queste incongruenze con la figura classica della spia acquisisce un senso diverso guardando al calendario. Dopo dieci anni di pedinamenti e intercettazioni, il motivo ufficiale dell’arresto è la decisione di una delle undici spie di lasciare gli Usa. A quel punto, secondo l’Fbi, arrestare un solo membro di un network avrebbe spinto tutti gli altri a scomparire. Ma l’arresto è avvenuto appena cinque giorni dopo la passeggiata di Obama e Medvedev alla Silicon Valley, al culmine del “reboot” delle relazioni tra Usa e Russia, quando Obama offrì a Medvedev il famoso hamburger in un fast-food proprio ad Arlington, Virginia, sede della Cia. L’opinione prevalente è che l’arresto delle spie russe abbia nuovamente compromesso i buoni rapporti con Mosca, insinuando i soliti sospetti sull’antagonismo del Cremlino verso gli Usa.

Ma c’è anche un’altra interpretazione. Il 23 giugno, poco prima della visita di Medvedev, il Dipartimento di Stato americano aveva accettato la richiesta russa di inserire Dokka Umarov, il principale leader della rivolta caucasica contro la Russia, nelle black-lists di ogni agenzia di sicurezza americana. Adesso Umarov è un criminale ricercato anche dagli Usa. Questo può spiegare perché Obama, che secondo gli specialisti dell’intelligence non poteva non sapere dell’imminente arresto delle spie russe, non abbia fatto nulla per ritardarlo, nonostante la presenza di Medvedev. Forse Obama sapeva che l’arresto non avrebbe fatto scoppiare una crisi diplomatica. Forse lo sapeva anche Medvedev. Mentre scattavano le manette ai polsi delle spie, il presidente russo raccoglieva un miliardo di dollari di investimenti americani per il suo progetto di una Silicon Valley a Mosca.

Smantellare la rete delle spie senza rischiare la crisi col Cremlino può essere il prezzo, più simbolico che concreto, pagato dalla Russia agli Usa per avere Dokka Umarov nelle liste nere americane e portarsi a casa pesanti investimenti sul settore hi-tech, che è il pallino di Medvedev per emancipare l’economia russa dalla dipendenza dall’export di risorse naturali. Sempre meglio una Russia con tecnologia e fondi americani che una Russia nucleare vicina all’Iran. Ciò non significa negare lo spionaggio russo in America. In questo caso particolare significa considerarlo una merce di scambio per affari più proficui, a partire da rapporti reciprocamente più vantaggiosi tra Mosca e Washington.  

Ma erano davvero spie gli undici arrestati? Sembravano piuttosto informatori in cerca di contatti. Si presume inoltre che le spie appartenessero all’SRV, l’agenzia d’intelligence all’estero, con un organico sei volte inferiore alla GRU, lo spionaggio militare estero, e senza impiegare le tecniche spesso estreme tipiche dell’FSB, l’intelligence interna. Più che un colpo alla Russia, sgominare le spie è un colpo alle attività anti-americane sul suolo americano. Per ora c’è tanto rumore per nulla, a parte i ricordi del cinema e dei romanzi, dove le spie erano decisamente più abili.