
Quei dubbi di Quagliariello sul premierato, “Meglio semi-presidenzialismo o razionalizzazione del sistema”

05 Novembre 2023
Il premierato, la riforma proposta dal Governo Meloni, potrebbe funzionare? Gaetano Quagliariello, già ministro delle riforme durante il governo Letta, ha “seri dubbi” sul fatto che questo possa accadere. La strada scelta dal governo non è in discesa. Secondo il presidente della Fondazione Magna Carta, alla proposta di riforma avanzata dal governo mancherebbero due qualità che rendono un cambiamento istituzionale possibile: l’equilibrio tra poteri e la flessibilità , l’elasticità che ne garantisce la durata nel tempo.
Nel primo caso, spiega Quagliariello in una intervista a QN, “si è avuta la preoccupazione di non toccare i poteri del presidente della Repubblica: questi non sono stati assegnati al premier, ma il capo dello Stato potrà esercitarli più difficilmente di quanto possa fare oggi”. È una questione di legittimazione dei poteri, dell’equilibrio da tenere tra potere e responsabilità in una ottica costituzionalistica di impronta liberale.
Ebbene, la forte legittimità derivata dalla elezione diretta del premier sarebbe subordinata ad un’altra figura, quella del presidente, meno legittimata ma con un potere di controllo maggiore sulla prima, determinando il rischio di una asimmetria tra poteri e dunque di un conflitto istituzionale. Anche perché con la riforma annunciata dal governo i poteri del premier resterebbero tutto sommato invariati.
In più, la possibilità di sostituire il premier aprirebbe in prospettiva dei problemi, “il sostituto del premier diventa più forte di quello eletto: il primo può essere cambiato, il secondo no”. A finire sotto la lente di ingrandimento è dunque la norma anti-ribaltone prevista dalla riforma, con la possibilità di creare un nuovo esecutivo con la stessa maggioranza e lo stesso programma. Posto che “la sola norma anti-ribaltone è la possibilità del premier di chiedere lo scioglimento del Parlamento ed ottenerlo a certe condizioni”, Quagliariello sottolinea che un sistema determinato dalla elezione diretta del premier esiste solo nel Regno Unito, “mediato dal bipartitismo”, non dal bipolarismo.
In Inghilterra, l’elezione diretta del premier rafforza il suo partito ma quel partito può sempre sostituire il premier. “Anche una leader di ferro come Thatcher ha dovuto cedere alla flessibilità del sistema,” ricorda Quagliariello. Nella riforma proposta in Italia, invece, la elezione immediata non permetterebbe un meccanismo come quello inglese. Il rischio sarebbe quello di tornare al voto nel caso della caduta del premier.
Tutto questo è complicato poi dalla proposta di riforma della legge elettorale basata su coalizioni di liste e sul premio di maggioranza. In questo caso innanzitutto pesano le sentenze della Corte costituzionale. Poi ci sono dei rischi. “La soglia minima per accedere al premio di maggioranza rischia una mobilitazione di tutti gli avversari del premier non al fine di vincere le elezioni, ma per non fargli raggiungere quella soglia. Così fu fatto fuori Alcide De Gasperi nel 1953…” ragiona l’ex ministro che aggiunge “vedremo: i veri nodi aggrovigliati, però, stanno nella riforma. Capisco le intenzioni di chi l’ha scritta, e cioè introdurre l’elezione diretta senza per questo essere accusato di deriva plebiscitaria, ma avrebbe dovuto cercare in altra direzione”.
Due quelle suggerite per permettere il funzionamento del sistema istituzionale. Il semi-presidenzialismo alla francese sul modello gollista oppure la possibilità che il premier sia investito direttamente dal parlamento (con voto separato rispetto al governo), “la facoltà di nominare e revocare i ministri e quella di domandare e, a certe condizioni, di ottenere lo scioglimento delle Camere. Sistema più semplice ma più equilibrato e flessibile”. Questo accade già in altri Paesi europei. In Germania, in Spagna e Svezia il premier dispone del potere di scioglimento delle camere.
Quagliariello invita quindi la maggioranza a fare due cose, da una parte salvare l’impianto generale della riforma, “dando più forza all’esecutivo e alla volontà popolare” e dall’altra aprire un dialogo con la minoranza parlamentare. Spingendola a prendere una decisione se accettare o meno uno dei due modelli appena descritti, quello alla francese o la razionalizzazione del sistema. Se il dialogo non funzionasse, il centrodestra a quel punto potrebbe andare avanti da solo.