Quei “riformisti” in loden ricchi di tasse e repressione
25 Ottobre 2012
Un anno fa in due libretti ricchi d’intelligenza (L’inverno di Monti di Sapelli e L’uomo del Colle di Giacalone) si scriveva che l’Italia stava passando da Machiavelli a Guicciardini, dal tentativo di darsi uno Stato all’inseguimento di un particulare dei singoli sottomesso a influenze straniere.
Il clima nazionale, di fatto, è pienamente investito da un’arietta continentale simil-cinquecentesca quando un’egemonia imperiale – quella distesa di Carlo V e quella tentata di Filippo II – copre un conflitto innanzitutto culturale tra protestantesimo e cattolici, che oggi si rivede – per fortuna con infinita minore cruenza – tra gli ultimi secolaristi radicali e il neorazionalismo ratzingeriano.
La minaccia ottomana di allora trova un riflesso nella tendenziale islamizzazione dell’Europa, che se non affrontata creerà drammi tra qualche decennio. Come allora mentre Francia e Inghilterra mantengono – combattendo – un’autonomia, il resto è dominato dai giochetti imperiali, da partiti asburgici o spagnoli che operano nelle varie regioni.
Alla fine si arriverà alla pace di Vestfalia e al nuovo ordine che reggerà fino a Napoleone. Intanto l’Italia però sparirà dalla scena: indipendente resterà solo Venezia. In Lombardia, terra di mercanti, già molti si acconciano a parlare tedesco: meglio un Gauleiter che un Fiorito, si scrive. Un’avvertenza: è probabile che i prossimi commissari saranno non più riformisti in loden alla conte Firmian ma marescialli Radetzky, in alta uniforme, ricchi di tasse e repressioni.
Tratto da Tempi