Quel 19 agosto quando iniziò la fine dell’Unione Sovietica

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Quel 19 agosto quando iniziò la fine dell’Unione Sovietica

19 Agosto 2011

 E’ il 19 agosto 1991. A Mosca inizia il colpo di stato di alcuni membri del regime sovietico contro il presidente in carica Mikhail Gorbaciov. Come sempre nei grandi avvenimenti storici c’è una causa reale e profonda ed una, più contingente, che è la causa scatenante. A volte, però, le due cause tendono ad essere una parte dell’altra, come cerchi concentrici. E’ proprio così nel caso di quel turbolento agosto moscovita. La causa più generale del colpo di stato è da ricercare nella politica di apertura del presidente Gorbaciov, che si può riassumere in due termini che hanno fatto la storia del Novecento: glasnost (trasparenza) e perestrojka (ristrutturazione).

L’Unione Sovietica deve, d’altronde, far fronte alla destabilizzazione dello scacchiere geopolitico europeo dopo la caduta del Muro di Berlino. La linea di Gorbaciov è quella di evitare di bloccare un processo, forse, irreversibile e così preferisce optare per una transizione pilotata che restituisca autonomia ai paesi comunisti e possa condurre anche la Russia al mercato e alla democrazia. La causa scatenante del colpo di stato fu la lunga e complessa trattativa che Gorbaciov portava avanti affinché l’Unione Sovietica si rinnovasse da “Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche” in “Unione delle Repubbliche Sovietiche Sovrane”. Non si trattava, naturalmente, di una questione puramente formale. Un nuovo trattato federativo tra le repubbliche sovietiche significava un altro passo importante verso un percorso di rinnovamento.

Si trattava di offrire indipendenza a dodici dei paesi dell’Unione Sovietica, ovvero la Federazione Russa, l’Ucraina, la Bielorussia, la Moldavia, la Georgia, l’Armenia, l’Azerbaijan, il Kazakistan, il Turkmenistan, il Kirghizistan, l’Uzbekistan ed il Tagikistan. Questi paesi erano, infatti, prossimi alla firma. All’interno del regime cresceva, però, il timore della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Fu così che in un contesto di profondo rinnovamento, la trattativa in corso divenne la causa scatenante del colpo di stato. Il gruppo di golpisti – formato da Gennadij Janaev (vice presidente), Vladimir Krjukcov (Capo del KGB), Valentin Pavlov (Primo Ministro), Boris Pugo (Ministro degli Interni), Dimitri Jazov (Ministro della Difesa), Valerij Boldin (Capo della Segreteria Generale) e l’intransigente Oleg Shenin – trattenne il Presidente Gorbaciov in Crimea, ufficialmente per malattia, in realtà agli arresti.

Il Presidente non poté così recarsi alla sottoscrizione dell’accordo. Con una conferenza stampa i golpisti annunciavano la creazione di un comitato d’emergenza che assumeva il potere e il controllo delle forze armate. Nessuno tra i fautori del complotto dimostrò, però, di avere la preparazione ed il carisma per portare avanti il golpe, tanto che i comunicati e gli annunci finirono per mobilitare la piazza contro il colpo di stato. Seguirono grandi manifestazioni popolari a Mosca ed a Leningrado guidate da Boris Eltsin, che, appoggiato dal movimento popolare, denunciò il colpo di stato. In quei giorni di fuoco fu celebre l’immagine di Eltsin issato su un carro armano per denunciare ciò che stava avvenendo. Il 21 agosto la maggioranza delle truppe spedite dai golpisti si schierò con i manifestanti. Il golpe fallì e Gorbaciov tornò a Mosca. Fu l’inizio della fine dell’impero sovietico, che già due anni prima aveva subito la caduta del muro di Berlino e, poi, la veloce riunificazione della Germania.

L’ondata di cambiamento era, però, dirompente, tanto che anche in Jugoslavia si ebbero le prime avvisaglie di un conflitto destinato a degenerare in una guerra civile con derive nazionalistiche che la lacerarono per il decennio successivo. Il 21 agosto venne riconosciuta l’indipendenza a Lituania, Estonia e Lettonia, e in pochi mesi il regime si ripiegò su se stesso: il 21 dicembre le rimanenti repubbliche, con l’esclusione della Georgia dichiaratasi indipendente già nel marzo precedente, siglarono la propria adesione alla Comunità di Stati Indipendenti, organismo sovranazionale che sostituì, con meno vincoli, l’URSS. Il 25 dicembre Gorbaciov si dimise dalla presidenza ed il 26 il Soviet Supremo formalizzò lo scioglimento dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

Negli anni successivi Boris Eltsin proseguì il programma di apertura al mercato capitalista e lo smantellamento dell’apparato burocratico sovietico al fine di integrare la Russia nel sistema globale. L’improvviso e veloce processo di disgregazione dell’apparato sovietico non fu indolore. Il nuovo stato russo si rivelò incapace di imporre la propria autorità e l’overdose di libertà improvvisamente iniettata nella società russa ha provocato un grave crisi sociale ed una società priva di regole in cui si inserirono facilmente le organizzazioni mafiose e terroristiche, come ricordato anche da Davic E. Hoffman in un recente articolo dello speciale “Revolution Road” di Foreign Policy che L’Occidentale riproporrà, in traduzione italiana, nei prossimi giorni.

In Russia, inoltre, si sono acuiti i contrasti tra le fasce più povere e la nuova borghesia capitalista, mentre si inaspriscono i conflitti etnici nella zona del Caucaso, tanto che è ancora in corso un dibattito, particolarmente acceso, sul multiculturalismo. La Russia che oggi festeggia i vent’anni del fallimento del colpo di stato, è un protagonista molto diverso sullo scacchiere internazionale. E’ una nazione che ha certamente guadagnato la libertà, ma al suo interno è più fragile di quanto non appaia all’esterno. Lo speciale di Foreign Policy che vi proporremo nei prossimi giorni sarà un’ottima occasione per riflettere, senza pregiudizi e condizionamenti esterni, sulla recente storia della Russia.