Quel 20 luglio di 40 anni fa quando Neil Armstrong scese per primo sulla Luna
20 Luglio 2009
Di colpo, la notte del 20 luglio 1969, la luna entrò nei sogni di tutti i terrestri. Neil Armstrong aveva appena compiuto il “grande balzo”, calcato l’impronta del suo stivalone sul suolo lunare e milioni di persone rimaste sulla Terra non riuscivano a togliersi dalla testa l’orma di quel piede.
Alle ore 22.17 italiane il modulo spaziale LEM s’era poggiato sulla superficie lunare e circa sei ore più tardi due astronauti ne erano discesi per una “passeggiata” esplorativa. Dopo centodieci ore di navigazione la missione americana Apollo 11 aveva sfatato un mito, avverato una fantasia tra le più antiche e ricorrenti dell’umanità. La Luna dei poeti e dei visionari, dei folli e degli amanti era diventata la Luna degli scienziati: un deserto di polvere e minerali, uno scenario di meravigliosa desolazione.
Per la storia della scienza e non solo, per il costume e forse anche per la vita quotidiana, si apriva un’epoca. Artisti, musicisti e scrittori trassero ispirazione dall’evento, pellicole di fantascienza imperversarono a lungo al cinema e in televisione. La Nasa continuò a programmare missioni nello spazio: i più ottimisti profetizzarono che nel giro di qualche decennio l’uomo avrebbe esplorato gli altri pianeti del sistema solare e si sarebbe messo a caccia di nuove galassie.
Purtroppo, o per fortuna, non è successo. Così come l’acme della Guerra Fredda aveva dato un impulso decisivo all’esplorazione spaziale – l’era della distensione, la crisi e poi il crollo dell’impero sovietico la interruppe bruscamente. Tutti i limiti della corsa allo spazio si rivelarono all’improvviso: girovagando tra le stelle le due superpotenze perseguivano obiettivi politici, molto concreti e a volte perfino meschini. Puntavano alla Luna ma continuavano a guadare il dito.
I tentativi di bissare il successo dell’Apollo 11 fallirono. Altre quattro missioni raggiunsero la Luna, ma senza suscitare il clamore della prima volta. Un sussulto di popolarità spettò solo agli astronauti dell’Apollo 13, rimasti nello spazio, in bilico tra la vita e la morte per un’avaria, prima del fortunoso rientro sulla terra. Le ultime tre missioni esplorative, previste dalla Nasa per la metà degli anni ’70, furono cancellate dal governo americano per tagli di bilancio.
Una volta avverato, il sogno della luna non faceva più gola a nessuno. In mezzo alle nuove emergenze del mondo, alle critiche e agli scandali che travolsero l’amministrazione Nixon, nel clima di generale sfiducia e “smobilitazione” degli anni ’70, gli effetti politici e propagandistici dello sbarco si esaurirono rapidamente. Più che aprire un’epoca, la Luna sembrò chiuderla.
Qualcuno addirittura cominciò a dubitare che l’uomo vi fosse arrivato davvero. Nel 1976 Bill Kaysing pubblicò il libro “We never went to the moon”, in cui metteva in dubbio l’allunaggio dell’Apollo 11 e delle successive missioni sulla base di presunte incongruenze scientifiche. Ombre che si allungano in più direzioni, sfondi sempre uguali, bandiere increspate e sventolanti in assenza di atmosfera: le passeggiate lunari degli astronauti americani sarebbero nient’altro che scene da film, girate in studio o in esterni da registi di grido (qualcuno fece perfino il nome di Stanley Kubrik).
Da allora, accanto alla storia ufficiale fatta – nonostante tutto – di missioni, esperimenti, lenti ma costanti progressi, si sviluppò un racconto parallelo fondato sul più assoluto negazionismo. Nessun astronauta aveva mai calcato il suolo lunare, tra astuzie e inganni la Nasa stava propinando al mondo la più grande menzogna della storia.
La Luna entrò in una nuvola di dubbi e dicerie, si eclissò lentamente dietro nuovi e più concreti avvenimenti. Alla fine gli stessi protagonisti dello sbarco del 1969 capirono che non sarebbero stati gli eroi del secolo. Edwin “Buzz” Aldrin, “l’eterno secondo”, preceduto da Armstrong sulla scaletta del LEM ma autentico regista dell’allunaggio, visse per anni una brutta storia di alcolismo e depressione. Quando la mannaia della prospettiva storica calò sulla conquista della luna, riducendone impietosamente la portata, il suo nome scomparve anche dai libri di scuola.
Oggi, ritemprato e riabilitato, collabora a libri di fantascienza, odia i marziani e si è perfino improvvisato boxeur con la faccia del “nemico” Bill Kaysing. In genere, però, va in giro per il mondo a raccontare il 20 luglio 1969, le sue promesse e i suoi limiti, con speciale fervore al cadere di ogni anniversario a cifra tonda.
Ormai sono passati quarant’anni e a suo parere, per rilanciare l’esplorazione spaziale, servirebbe un nuovo inizio, magari uno sbarco “commemorativo”. Nuove immagini, più nitide e spettacolari, una massiccia copertura da parte dei media, telecamere che riprendono in diretta tutte le manovre della navicella e le attività degli astronauti sulla luna. Potenza (e miserie) della propaganda… Aldrin s’infiamma all’idea, quanto è lucido e pacato nelle altre riflessioni.
La conquista della Luna non si può considerare l’evento clou del XX secolo. Non è stata devastante come le due guerre mondiali, non ha avuto l’impatto e gli effetti dirompenti della caduta del muro di Berlino o anche solo della guerra in Vietnam e della contestazione giovanile di fine anni ’60. Ma resta una metafora straordinaria, per la scienza e per l’arte: un archetipo dell’immaginazione, come l’immersione abissale del capitano Nemo, il viaggio nella mente del dottor Jekyll, la lotta epica del vecchio di Hemingway.
La Luna negata, contestata, confutata è metafora dell’apparenza e del potere di manipolazione dei media. Se l’uomo non è stato sulla Luna vuol dire che è bastato un set cinematografico e riprese appropriate, una storia ben scritta e raccontata, per farlo credere al mondo. Se davvero gli astronauti americani hanno violato il suolo lunare, significa che nemmeno l’evidenza più concreta sfugge al dubbio, che il mistero, la magia, l’elucubrazione rispuntano ostinati dalle pieghe della scienza.
Eppure proprio nel vortice di questa confusione, nel gorgo del relativismo, dello scetticismo, dell’apatia, il 20 luglio 1969 acquista un senso nuovo. Spogliata del simbolo dalla ragione, la Luna torna ad essere simbolo. E con tutta la sua carica simbolica si pone come uno dei numi tutelari della nostra epoca. La Luna sognata, studiata e infine raggiunta è un inno alle capacità umane e alla forza propulsiva del desiderio. Un elogio alla “lucida follia”, alla ragione che supera se stessa e abbraccia la fantasia, alla scienza applicata alla visione. I piedi per terra e la testa fra le stelle, per scuotere il mondo bisogna osare. Puntare in alto. Volere la Luna.