Quel che resta da dire sulla Germania e il Sessantennale europeo

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Quel che resta da dire sulla Germania e il Sessantennale europeo

Quel che resta da dire sulla Germania e il Sessantennale europeo

26 Marzo 2017

60° Trattato di Roma / 1 Deutschland, Deutschland über alles. “Germany is the centre geographically, economically, politically and even socially, and the centre of this centre is Angela Merkel” già il 21 dicembre del 2016 Timothy Garton Ash scriveva sul Guardian che il centro dell’Europa è la Germania e il centro della Germania è la Kanzlerin (ma, diremmo oggi, si avanza da sinistra l’ombra di Martin Schulz). C’è chi invocando la storia (ma anche saggi come  Helmut Kohl e Helmut Schmidt) considera che quando i tedeschi hanno assunto un ruolo “centrale” nel Vecchio continente, ne sono sempre nate delle sciagure dal 1870 in poi. Ma non è questo il main stream. Alberto D’Angerio fa intendere (pur cautelandosi un po’) che fu Berlino a essere decisiva – pur se anche un superficiale esame della realtà indica in Ronald Reagan l’artefice fondamentale di quella svolta storica- a superare la Guerra fredda e scrive sulla Repubblica del 25 marzo che: “L’Europa si adoperò con fatica per far cadere il muro di Berlino”. Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera sempre del 25 ne loda un aspetto strutturale: “Dalla grande ascesa della Germania non è estraneo il suo sistema politico” E così  Jean-Claude Juncker sul Financial Times sempre del 25 “The German system was never driven by extremists” spiegando che i tedeschi (occidentali, riteniamo almeno fino agli Novanta) non furono mai guidati dall’estremismo (al contrario di francesi e italiani per esempio). Vi è un elemento surreale in queste valutazioni, si scorda come il suolo tedesco fu (giustamente) presidiato dalle potenze vincitrici per decine di anni, come questo consentì a Ovest di mettere fuori legge anche i comunisti oltre i neonazisti, insomma come si tratti di una realtà politica molto storicamente determinata e dunque irriproducibile.

60° Trattato di Roma / 2, Il miracolo della pace europea. “L’Europa ha garantito pace e benessere per oltre mezzo secolo” così Adriana Cerretelli sul Sole 24 ore del 23 marzo. Anche una delle giornaliste più acute nell’esame delle vicende europee non resiste dalla retorica sulle guerre continentali, retorica che su Financial Times sempre del 25 Jean-Claude Juncker raffoza dicendo che “You will have another war in western Balkans” avrete una nuova guerra nei Balcani se la Ue si indebolisce. Sfugge a chi utilizza l’argomento Comunità europea uguale pace, il fatto che il vero presidio che aiutò a superare i conflitti nel Vecchio continente fu essenzialmente la Nato. Non storicizzare la formazione delle istituzioni comunitarie come risposta alla presenza sovietica nell’altra metà del Continente e dimenticarsi dell’Alleanza atlantica, indebolisce l’analisi anche di osservatori qualificati per esempio come Alberto Quadrio Curzio che sul Sole 24 ore sempre del 25 scrive che: “Il vero successo è l’economia della Ue giunta a gareggiare con gli Usa come la prima la mondo, avendo però un sovrappiù di civiltà che garantisce anche ai più deboli le protezioni sociali”. C’è una grande verità in questa frase sul come il Mercato unico abbia aiutato il decollo europeo nonché si spezza una lancia per un welfare generalizzato, ma si dimentica la “protezione militare” di questa operazione, massicciamente finanziata da Oltreatlantico.

60° Trattato di Roma / 3, Kritik verbotten. “Quando Matteo Renzi si scaglia contro i «burocrati di Bruxelles» solo perché fanno rispettare leggi europee (spesso) logiche che l’Italia ha liberamente sottoscritto, l’effetto è uguale e contrario: il leader in pectore del Pd cerca difendersi dai populisti di casa propria copiandone lo stile” Federico Fubini, che scrive sul Corriere della Sera del 25 marzo, è uno di quelli che un po’ s’infuriano se si discutono i sacri comportamenti della sacra Commissione europea e nella sua difesa tende a esagerare per esempio citando logiche che “l’Italia ha liberamente sottoscritto”. In realtà quel che veramente è mancato nell’Unione è una discussione libera con decisioni invece prese quasi sempre sotto pressioni poco rispettose dei diversi punti di vista. Si legga per esempio quel che dice Pierre Moscovici sulla Repubblica sempre del 25: “E’ importante che l’Italia resti nel cuore dell’Europa, per questo il governo deve fare attenzione ad evitare una procedura di infrazione per il suo elevatissimo debito pubblico, finirebbe per molti anni ‘ai margini’ dell’eurozona”. Non c’è una ammissibile critica a un’eventuale deviazione (mi pare dello 0,2 per cento del bilancio) dagli impegni presi, c’è una condanna alla emarginazione  “per anni “. E’ interessante notare come in questo stile ultrà si caratterizzino spesso esponenti del Pse tipo Jeroen Dijsselbloem che esercitano sia vecchie logiche dirigistiche sia la disperazione per la propria questa sì reale emarginazione dalla scena politica. Quando queste critiche poi vengono da Oltralpe assumono anche un tocco di ipocrisia  come quella che si legge in una citazione  di un articolo di Danilo Taino sul Corriere della Sera del 23 marzo: “Il ministro francese Michel Sapin è stato perentorio sull’esprimere il suo rammarico per la decisione di non citare il protezionismo nel comunicato” I francesi della Danone, della Suez, dei cantieri, della produzione agricola ipersovvenzionata contro il protezionismo? E i bergamaschi i principali critici della “polenta e osei”?

60° Trattato di Roma / 4 Di zelo europeistico si può morire. “O dentro avanti con i primi o indietro con gli altri” scrive Ricardo Franco Levi sul Corriere della Sera del 20 marzo. Nella prospettiva di un’Europa a due velocità, alcuni opinionisti ricominciano la solfa che già caratterizzò la discussione (con in testa i Ciampi e i Prodi) sull’euro: dobbiamo stare a tutti i costi nel gruppo dei primi. Esaminando i risultati di quelli che sono entrati nell’eurozona e di quelli che no, credo di poter dire che la “prossima” discussione dovrebbe essere un po’ più lucida. Anche perché come annuncia un trombettiere dell’Unione europea, Andrea Bonanni, su Repubblica del 25 marzo: “Siamo di fronte a decisioni non revocabili”. Decisioni su cui credo si debba aprire una vera discussione, soprattutto se dopo avere fatto una moneta senza uno Stato, adesso si vuole fare nello stesso modo anche un esercito e lo si fa con lo stile cinicamente baldanzoso con cui si esprime il ministro tedesco della materia, Ursula von der Leyen, sempre sulla Repubblica del 25: “La Brexit è dunque un’opportunità per fare l’Unione della Difesa”. Meno male che si sentono anche considerazioni più sagge come quella di Wolfgang Schaueble sul Financial Times del 24 marzo “ The federal idea has not gone away but at the moment has no chance of being realised” l’opzione federalista non è abbandonata ma non ha al momento chance per essere realizzata, o quella di Papa Francesco I registrata dal Corriere della Sera del 25 marzo: “L’Europa non è un insieme di regole da osservare”. Non aiuta invece lo stile tranchant del commissario per la stabilità finanziaria Valdis Dombrovskis quando annuncia, sempre sul Corriere della Sera del 25 “Strumenti finanziari specifici per la sola area euro” . Su questa strada è difficile dare torto a Ernesto Galli della Loggia quando sul Corriere della Sera del 18 marzo scrive: “’L’europeismo reale’ se così si può dire” alludendo con un tocco di genio a polacchi, ungheresi, cechi, slovacchi, bulgari di destra o di sinistra che sentono “l’europeismo reale” quasi tanto quanto apprezzavano “il socialismo reale” imposto da Mosca.