Quel liberalismo vuoto e perverso

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Quel liberalismo vuoto e perverso

25 Dicembre 2007

Che cosa ha a che fare la politica con la
metafisica? Per Davide Tarizzo non solo la metafisica ha molto ha che fare con
essa, ma le è addirittura essenziale: se non si ha una metafisica che definisca
che cosa è l’umano, infatti, non si può a suo parere avere neppure una teoria politica
poiché non si sa che cosa sia la politica. Avanza questa tesi in Giochi di potere. Sulla paranoia politica
(Laterza, Roma-Bari, 2007). Il libro inizia con una interessante e limpida
rilettura di un classico del pensiero politico e della storia americana: quel The Paranoid Style in American Politics
di Richard Hofstadter pensato per identificare tutte quelle situazioni nelle
quali l’attenzione viene richiamata su un pericolo esterno o interno
riconosciuto come tale da un osservatore autorevole. Una situazione simile è
stata, per fare un esempio paradigmatico, quella della caccia alle streghe
negli Stati Uniti di MacCarthy. Ciò che gli studiosi di questo fenomeno
sottolineano è che il pericolo indicato non coincide con una situazione
oggettiva, e che esso è tale solo nella mente ossessionata e separata dalla
realtà di chi lo percepisce come tale: da qui l’idea di paranoia, ripresa dalla
psicoanalisi.

Dopo questo inizio, il volume prosegue con
la lettura di alcuni altri testi che vertono sulla paranoia: oltre a Freud,
Lacan, Hillmann, l’Anti-Edipo di Gilles
Deleuze e Félix Guattari. Il lettore inizia a soffrire, ma Tarizzo lo guida
sicuro attraverso ermetismi e difficoltà dell’opera, e poi prosegue
districandosi tra Foucault e Schmitt, tra Zizek e Arendt. Qui giunti, enuncia
le sue tesi forti, che gettano definitivamente il lettore nella confusione e
nello sconforto: la tesi principale è che occorre una definizione metafisica
preliminare di che cosa è umano perché si possa avere politica. Se non si dà la
definizione prima – sostiene l’autore -, i concetti e i fatti su cui si lavora
non stanno letteralmente in piedi. Per comprendere in che modo non stanno in
piedi, prende l’idea classica di autonomia, definita in questo modo: “principio
secondo il quale ogni individuo è a sé stante e de facto decide da sé e in sé che cos’è il sé, l’autos, l’ipse della sua soggettività.”

La politica consiste per l’autore nell’obbedienza
spontanea, che si ottiene con la convinzione. Si tratta per Tarizzo di una
convinzione e di una obbedienza che hanno alla base una idea dell’umano. Se non
accade questo, si ha una situazione politica perversa, facile terreno  di coltura per una politica paranoica: il
potere dice all’uomo “tu sei questo”, e comanda, impone, domina. “Che cosa intendiamo
per discorso politico perverso? Per esempio, il discorso politico liberale.”
Ecco la spiegazione, resa più perspicua dai corrispondenti termini tedeschi,
che aiutano sempre: “Questo discorso politico è basato infatti sulla scissione
(Spaltung) tra il principio di
autonomia e il principio di umanità, che si abbina a un radicale
disconoscimento (Verleugnung) della
politica (..).”

Ma siamo certi che l’autonomia sia proprio quella
attività di definizione di che cosa si è descritta da Tarizzo? Non è piuttosto
il comportamento libero, dove libero è da intendere nel senso lato di privo di
costrizioni? Davvero il pensiero liberale ha immaginato l’uomo separato da
tutto il resto come in un deserto, secondo la presentazione che si trova in
queste pagine? O non ha piuttosto esaltato l’aspetto dell’autonomia da esseri e
cose, da legami sociali e rapporti di potere, proprio perché fin troppo consapevole
del coinvolgimento dell’uomo in tali relazioni e del condizionamento che tali
relazioni implicano sempre? Nel liberalismo l’individuo non sceglie affatto chi
o che cosa essere, non opera una opzione metafisica; cerca di agire, invece, riducendo
al minimo ogni condizionamento che venga da persone o cose.

   Quando poi si arriva alle risposte in
positivo, queste non possono che apparire deludenti, specie se messe in
rapporto ai macigni smossi: la politica è convinzione, libertà da e libertà di
sono superate dalla libertà con, i
giochi di convinzione sono contrapposti ai giochi di sapere, la politica è
collegata alla speranza.

   Quando discute i
suoi autori, Tarizzo menziona Hannah Arendt fra coloro che non hanno fornito la
definizione richiesta dell’umano: la studiosa del totalitarismo ha prodotto
infatti studi sulla politica senza porre mano a tale metafisica. Questa per
l’autore è una mancanza che inficia i suoi ragionamenti. Non sarà, invece, che
Arendt, proprio studiando il tema terribile del totalitarismo che genera un
essere umano senza volto e disumanizzato, si è resa conto della valenza
autoritaria a cui una definizione dell’umano (una qualunque) può portare? Resta
non spiegata in questo volume la ragione per la quale le versioni sostanzialiste
(non vuote, non formali) della politica sarebbero migliori delle altre (quelle
vuote e formali, come il liberalismo). Per Tarizzo la vuotezza dell’imperativo
liberale racchiuso nel principio di autonomia (decidi tu quello che vuoi
essere) sarebbe alla base di una obbedienza vuota, una obbedienza a qualunque
imperativo: è la tesi che vede nel liberalismo la premessa più favorevole a
ogni dittatura, a ogni tirannia. Se è vero che il liberalismo, così come la
democrazia, richiede grandi dosi di virtù, di autocontrollo, di rispetto, se è
vero che presuppone una comunità di individui ben formati e civili, è anche
vero che la sua fragilità non è diversa da  quella di ogni sistema o principio politico.
Sostanzialità, fondamenta solide, certezze metafisiche, si hanno solo in regimi
o  principi illiberali. Non è vero
neppure che la precarietà del liberalismo lo esponga a rischi superiori a
quelli di altri regimi: anche perché si tratta della precarietà che
caratterizza tutte le cose umane, nelle quali l’incertezza svolge un ruolo
costitutivo.

“Dove si cela la
scissione nel discorso liberale?”, si chiede l’autore percependo una curiosità
inespressa da parte di chi legge: “Si cela nel fatto che il principio di
autonomia esclude, in effetti, la formulazione di qualunque principio di
umanità, poiché esclude in linea di principio la possibilità di definire
l’umano o l’umanità in generale, astratta dall’individuo, dal singolo che
decide da sé e in sé che cos’è il sé, l’autos,
l’ipse della sua soggettività. Di qui
la scissione del discorso liberale, il quale afferma e nega, con la sua massima
politica, il politico in quanto tale. Di qui il suo disconoscimento della
realtà, che consiste nel non voler accorgersi del fatto che la sua massima
politica è vuota, che è puramente formale.”

Non sarà questa
scissione il motivo per cui il principio di autonomia e il liberalismo ci
piacciono tanto?