Quel poco che resta di Bologna, la vecchia signora dai fianchi un po’ molli
15 Marzo 2009
Stringe veramente il cuore ripensare a frasi come quelle che precedono e ad altre similari, che non troppi anni or sono rappresentavano l’effettiva realtà di quella che, con gusto un po’ arcaizzante, veniva denominata – anche nelle radiocronache calcistiche dei seguaci di Gianni Brera – “città felsinea”. Sembrano passati mille anni. La città è sempre stupenda, con le sue chiese e i suoi palazzi carichi di storia e d’arte. Il vertice della meravigliosa Pinacoteca cittadina, dopo qualche anno di ordinaria amministrazione, è di nuovo occupato da uno storico dell’arte di primissimo livello, che certamente ridarà slancio agli studi sulla pittura emiliana e si renderà promotore di validi eventi espositivi. I bolognesi doc mantengono intatta l’umana piacevolezza e la bonomia condita di ironia che sempre li hanno caratterizzati, ma, francamente, stare a Bologna o recarvisi non è più una festa. Credo che veramente a pochi verrebbe in mente di ripetere oggi frasi del tenore di quelle in precedenza riportate. Da non bolognese debbo osservare che arrivando la sera alla stazione centrale e volgendo i passi (Bologna è città da camminare) verso i portici di Corso Indipendenza si fanno immediatamente incontri non particolarmente rassicuranti. La città, in generale, manifesta una condizione di abbandono, di degrado e di mancanza di pulizia. L’idea di deambulazioni notturne, magari godendo del piacere della pipa nel freddo pungente dell’inverno, o dell’incontro di allegre brigate studentesche nella bella stagione, viene sconsigliata dagli amici locali con cui si parla, posto che la sicurezza non è più quella che una volta, a giusto titolo, si dava per presunta.
In questo contesto urbano non idilliaco – ma, da vecchio innamorato della città, mi auguro si realizzi quanto prima una forte inversione di tendenza, magari incominciando dalla cultura e dalle arti figurative, per le quali, come ho già accennato, vi sono ora ottimi presupposti – anche il quadro della ristorazione segna il passo. Non mi sentirei davvero di consigliare a nessuno, all’attualità, la frequentazione dei locali blasonati, che hanno fatto la storia della ristorazione bolognese. Questi locali esistono pur sempre, ma non resistono al confronto con la qualità, talora straordinaria, che essi stessi sapevano esprimere un tempo. Andarci determina un doppio danno: mangiare tendenzialmente male al presente e guastare il buon ricordo del passato. A fronte di tale situazione di generalizzata difficoltà dell’offerta gastronomica di livello, una visita a Cesarina può risultare di qualche consolazione.
Il ristorante, stando ai miei ricordi personali, ha avuto, esso pure, momenti di caduta, tant’è che, per un certo periodo, la molla per frequentarlo era data principalmente dal fatto che, collocato com’è in pieno centro, a due passi dalle torri gemelle, prospetta sullo straordinario complesso della Basilica e del Santuario di Santo Stefano – un momento di bellezza assoluta della città -. Oggi, tuttavia, Cesarina appare in netta ripresa e si segnala, in primo luogo, per rispettare egregiamente uno dei canoni di questa rubrica: l’utilizzo di materiali di prima qualità, trattandoli con grande rispetto e senza sconvolgimenti manipolativi dei sapori. Un altro merito del ristorante è l’atmosfera da trattoria dall’ambientazione calda ed accogliente, con tavoli comodi e decentemente distanziati. Il servizio – svolto anche da personale di origine extracomunitaria – è professionale e sempre assai cortese.
Il menù non è ricchissimo di proposte, ma equilibrato e giustamente rappresentativo anche della tradizione gastronomica della regione. Tra gli antipasti l’omaggio alla mortadella è doveroso, al pari di quello al prosciutto e – soprattutto – al culatello, magari accompagnati da qualche crescentina ( cioè una sorta di gnocco fritto ). Da segnalare, in stagione, gli asparagi al pecorino e l’ottima insalata di carciofi. Ghiotta la gamma dei primi piatti, che vanno dalla gramigna (pasta fresca locale) con salciccia, ai ravioli o agli gnocchi della casa, dalle lasagne verdi al forno, alle classiche tagliatelle alla bolognese. Tra le minestre, tuttavia, il posto d’onore spetta ai tortellini e ai passatelli. Questi ultimi sono davvero di ottima fattura e il loro aroma di noce moscata invade piacevolmente le narici dell’avventore, con il salire dal piatto del fumante calore del brodo. Tra i secondi, pur in presenza di un ottimo roast-beef maison e di una valida proposta ittica (comprensiva di un gustoso piatto di baccalà), l’attenzione va richiamata sul carrello dei bolliti, senz’altro all’altezza della tradizione cittadina. Meritano segnalazione anche il coniglio alle erbe fini e la faraona alla maniera della casa e, decisamente, un encomio il capretto tartufato e il filetto di maiale lardellato. Ove disponibili, vanno assaggiati i funghi alla brace e sempre richieste le ottime verdure, parimenti cotte alla brace. Il carrello dei dolci, generoso di offerte, non delude il palato ma umilia la preventivamente affermata “ferrea volontà” di resistervi….
La cantina, eccessivamente ridotta, consente tuttavia di pescarvi qualche buona bottiglia, gravata di corretto ricarico. In via generale, Cesarina si configura come ristorante di prezzo medio, con un valido rapporto costi/qualità.