Quella battaglia nel Pdl che rafforza il parlamentarismo
03 Ottobre 2013
Al di là di ciò che è accaduto ieri dal punto di vista spettacolaristico e, se vogliamo, pirandelliano, non si può far finta di non vedere come la democrazia parlamentare data per morta da molti si è dimostrata, invece, viva e vegeta. Con un guizzo qualcuno dice inaspettato, infatti, anime diverse provenienti dallo stesso partito hanno posto di fatto fine alle tendenze unificanti che avevano caratterizzato il centrodestra berlusconiano in tutti questi anni portando alla luce un legittimo e fondato dissenso politico.
In molti hanno visto delle analogie con la drammatica seduta della Camera del 14 dicembre 2010 quando, la mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni venne esorcizzata grazie una trattativa durata quasi un mese. In quei trenta giorni, complice una calendarizzazione a dir poco discutibile, si vide di tutto e, come è noto, il governo si salvò per il rotto della cuffia. Stavolta invece, le condizioni profondamente diverse che hanno caratterizzato questa seduta al Senato, rendono necessaria una analisi più approfondita.
Il dato differenziale più evidente è quello dell’equilibrio: non ci sono stati cambi di casacca a provocare lo smottamento della già traballante maggioranza di governo ma un dissenso interno di reazione a una strategia politica che, come è emerso ieri, non avrebbe portato a nulla se non una accelerazione degli eventi che si volevano invece rallentare. Facendo cadere il governo, Berlusconi non avrebbe di certo stoppato l’iter della decadenza e men che meno, con queste condizioni, vinto le elezioni (sempre se Napolitano le avesse concesse). La posizione finale di Berlusconi ha di fatto rimesso in discussione il recente percorso intrapreso dalla nascente Forza Italia.
Una posizione che è stata oscillante fino all’ultimo, di certo “travagliata” e contraddittoria e sulla quale una serie classe dirigente non potrà non discuterne con una analisi seria e matura; comprendendo che ormai parecchi, anche tra i suoi fedelissimi, non lo avrebbero più seguito, Berlusconi ha mutato opinione e, senza avvertire nessuno, ha detto la sua dallo scranno del Senato. Una decisione rivelatasi sì giusta ma che ha esposto il centrodestra alle critiche di alcuni osservatori internazionali.
Ciò che rende rassicurante questa svolta è che l’intera drammatica vicenda delle dimissioni dei ministri sia stata trattata alla luce del sole senza strappi preventivi o losche trattative. I ministri hanno dato le dimissioni senza batter ciglio evitando così di dare corda ad accuse di “tradimento” e di “poltronismo” ma non hanno, giustamente, rinunciato a far valere le loro ragioni che, fatalmente, si sono poi rivelate quelle politicamente più giuste.
In assenza di una discussione all’interno degli organi del partito, sostituiti in questi giorni da conciliaboli nella lontana Arcore, tutto si è svolto dentro un’aula parlamentare: così, per la legge del contrappasso, una crisi provocata da tre o quattro persone riunite in Brianza è stata ricomposta alla luce del sole, senza tradimenti, sotterfugi, cavilli e, permettetecelo, compravendite. Scenari che neppure nella prima repubblica si erano mai visti. Bisognerebbe risalire all’età giolittiana per ritrovare qualcosa del genere, e non a caso.
Il Parlamento ha ieri dimostrato quanto sia salutare la discussione e il confronto all’interno delle istituzioni preposte. Non crediamo di sbagliare affermando che la stessa e identica situazione di ieri se fosse stata ricomposta nelle anguste e democraticamente inadeguate stanze di partito, difficilmente avremmo potuto spiegarla razionalmente anche agli osservatori più esperti.