Quella cortina che grava ancora su Tallinn
02 Maggio 2007
I sovietici non liberarono l’Estonia dall’occupazione nazista, come afferma con spudoratezza il ministro degli esteri russo Lavrov, ma furono loro stessi ad occuparla. Quando, il 28 agosto 1939, Hitler e Stalin siglarono il patto firmato dai relativi ministri degli esteri, Molotov e von Ribbentrop, vi apposero un allegato rimasto a noi segreto (ma non agli amici italiani del Cominform) fino alla caduta dell’impero sovietico. Nel patto veniva definita la spartizione della Polonia e consentita l’occupazione dei paesi Baltici da parte dell’Unione Sovietica. Una carta geografica riportava i dettagli della spartizione ed era controfirmata dai sottoscrittori dell’accordo.
Questo accordo guidò gli eventi degli anni successivi, come è illustrato nella mappa seguente. L’Unione Sovietica occupò le Repubbliche Baltiche. Ma Hitler, scatenando l’Operazione Barbarossa il 22 giugno 1941, tradì l’accordo trasformando il suo alleato in nemico. Fu la mossa, come tutti sanno, che decretò la sua sconfitta.
L’attacco di Tokyo a Pearl Harbour nel dicembre dello stesso anno impose agli Stati Uniti di entrare in guerra. Lo fecero sia sul fronte europeo che sul fronte del Pacifico. Hitler, sfruttando l’effetto sorpresa, invase i territori ad est della Germania, comprese le Repubbliche Baltiche. Frattanto, i sovietici avevano realizzato la deportazione di estoni, lettoni e lituani. Lo fecero in modo scientifico. Piombarono in carri ferroviari migliaia di cittadini inermi prelevati nottetempo dalle loro case nella stessa notte tanto a Tallinn che a Riga e Vilnius. Un’operazione la cui precisione organizzativa non è seconda a quella praticata negli stermini nazisti. I popoli baltici, dopo l’esperienza dell’occupazione sovietica, salutarono l’arrivo dei nazisti come la liberazione da un incubo. L’illusione ebbe vita breve. Subirono altre deportazioni. Poi tornarono i sovietici e i popoli baltici soggiacquero per mezzo secolo alla maledizione di Yalta.
Estoni, lettoni e lituani, che da tempo davano segni di ribellione verso l’occupante sovietico, chiesero a gran voce di riavere la sovranità nazionale cancellata, appunto, dall’occupazione russa del 16-17 giugno 1940. Lo fecero il 23 di agosto 1989 nel 50mo anniversario del patto Molotov-von Ribbentrop con un gesto clamoroso: una catena di circa 2 milioni di persone, mano nella mano, congiunse Tallinn con Vilnius, passando per la Lettonia al grido di: “Libertà”. Gorbaciov non gradì e accusò oscure forze reazionarie quali responsabili della manovra diretta a gettare discredito sulle riforme politiche del leader sovietico. Anche lui si considerava un riformista, proprio come i comunisti di casa nostra. Non riuscì, però, ad impedire la realizzazione del sogno dei popoli baltici che a distanza di pochi mesi, nel 1991, riconquistarono la libertà.
Una volta ricostituite, le Repubbliche Baltiche corsero a chiedere di entrare nella Unione Europea come avevano fatto la Polonia, la Cecoslovacchia (ancora unita) e l’Ungheria all’indomani del crollo dell’impero sovietico. Erano disposte a tutto pur di trovare una sponda sicura per la loro indipendenza. Il Consiglio Europeo, però, stabilì condizioni speciali per l’accesso di nuovi stati membri (vissuti per mezzo secolo nel totalitarismo comunista) note come i “Criteri di Copenhagen” che si distinguono in politici, economici e quelli relativi all’acquisizione delle vigenti regole comunitarie. Tra i criteri politici è stabilito che ogni paese deve garantire il rispetto e la protezione delle minoranze. Questo vincolo mirava anche ad imporre ai cittadini baltici di evitare ritorsioni verso gli occupanti russi. A tale proposito meritano di essere ricordati i “partigiani della foresta” lituani. Combatterono a lungo nascondendosi, appunto, nei loro boschi e lottarono contro i russi invasori, furono veri patrioti da sempre ignorati anche da coloro che si esaltano senza eccezione di fronte a veri o immaginari Fronti Nazionali di Liberazione, talebani inclusi. Alle popolazioni (non solo) baltiche è stato così impedito di vendicarsi perché l’Unione Europea è, come si dice, l’Europa delle minoranze. I russi che vivono nelle repubbliche baltiche, pur rappresentando il frutto di una sovietizzazione forzata, hanno il diritto di essere considerati cittadini a tutti gli effetti. Non possono però rivendicare un orgoglio russo nell’emblema di un monumento all’Armata Sovietica in una terra un tempo calpestata.
Gli incidenti che in questi giorni hanno funestato la meravigliosa città di Tallinn sono paradossalmente meno gravi di quelli che di riflesso si sono verificati a Mosca davanti all’ambasciata della Repubblica dell’Estonia con il contorno delle dichiarazioni del ministro degli esteri russo, Lavrov. Questi episodi si sono verificati in piena disinformazione, una pratica scientificamente praticata nella Russia sovietica. Giovani moscoviti, presentati come tifosi di Putin, hanno reagito allo stesso modo degli islamici che si dichiararono sconvolti dalla famose vignette danesi. Il ministro russo Lavrov ha minacciato ritorsioni e il Senato russo ha deciso di chiedere di rompere le relazioni diplomatiche con l’Estonia e all’Unione Europea di rimproverare lo Stato Membro. Arrivare a questi eccessi per l’oltraggio all’Armata Rossa che, secondo i russi, avrebbe invece avuto il merito di liberare l’Estonia dai nazisti è roba di trinariciuti per trinariciuti.
Senza dubbio, questi eventi hanno una rilevanza diplomatica. Con il Ministro degli Esteri che ci ritroviamo rischiamo di rivivere le scempiaggini che abbiamo dovuto sopportare in piena guerra fredda. Ma ancor più desolante è l’amplificazione acritica delle pretese russe fatta nei telegiornali da giornalisti non si sa se compiacenti o ignoranti.