Quella dell’Europa del Sud è una questione di Fede e Identità
15 Dicembre 2011
di Luca Negri
Se l’auspicata triplice intesa dell’Europa mediterranea deve rispondere allo strapotere franco-tedesco, non può farlo senza una presa di distanza anche sul piano culturale. Occorre ben considerare in che cosa il retaggio comune di Spagna, Italia e Grecia si possa distinguere quando si tratta di comprendere il mondo, raccontarlo, trasformarlo. Insomma, bisogna interrogarsi sulle idee.
Forse la prima considerazione da fare è che la mente mediterranea, più incarnata ed abbronzata, dovrebbe lasciarsi meno guidare proprio dalle idee, non sacrificarle alla vita concreta, al senso di realtà. Sappiamo che dalle nostre parti non è sempre andata così; soprattutto per influenza di Francia, patria (anche) del giacobinismo utopistico, e Germania, culla dell’idealismo filosofico. Il connubio fra i due diede i natali al marxismo, ma non è questo ad interessarci, piuttosto la consapevolezza che un certo pensiero moderno, soprattutto dal francese Descartes al tedesco Hegel, ha cercato di imporre l’idea astratta, il sistema, sulla realtà.
Che l’Europa possa essere un’altra cosa, uscire da questo vicolo cieco tipico del moderno, ce lo ha insegnato il filosofo spagnolo Ortega y Gasset. È giunto il momento di restituire ai legittimi proprietari un po’ di scheletri nei nostri armadi: fascismi rossi e neri e poi istituzioni statali “pesanti” che Italia, Grecia, Spagna hanno prodotto nel Novecento. Ma ideologie e statolatrie non erano nel nostro dna, meglio riscoprire la nostra anima più pratica e anarchica, con devozioni più alte di quelle tributate a costituzioni e burocrazie. Potenzialmente, possiamo essere più liberali. Stesso discorso dovrebbe valere per l’economia; ovvero non sentire più il fiato sul collo dell’etica protestante e calvinista dello spirito del capitalismo centroeuropeo. Anzi, proprio l’argomento religione è centrale.
Fu soprattutto la Francia a battersi contro il riferimento alle radici cristiane nell’abortita costituzione europea, anche la Germania luterana non era proprio entusiasta. Dall’altra parte c’erano Polonia, Italia, Grecia e Spagna (ai tempi di Aznar, non del piazzista di laicismo Zapatero). “La Fede è l’Europa e l’Europa è la Fede” scrisse l’anglo-francese Hilaire Belloc all’inizio del ‘900, ma invece l’Unione non ha voluto ammettere che il continente è cresciuto culturalmente in un’unica fede, quella in Cristo, per merito della Chiesa di Roma, di scismi e declinazioni secolarizzate; il compito storico, dunque, toccherebbe finalmente a noi. Non c’è bisogno di scrivere un comma di un’ennesima costituzione, basterebbe rispettare ed ascoltare di più la Chiesa, pur nel disaccordo, accettarne pienamente il ruolo pubblico. In prospettiva di un auspicabile riavvicinamento della Chiesa di Roma con quelle d’Oriente, diventerebbe forse meno ostico temperare le innegabili tendenze illiberali dei greco-ortodossi.
Con le dovute differenze ci troviamo di fronte ad uno scenario simile a quello del secondo dopoguerra: una nuova Europa da ricostruire. In quegli anni Maria Zambrano, allieva proprio di Ortega y Gasset, scrisse un prezioso saggio per invitare gli europei ad affidarsi, dopo la catastrofe, al pensiero greco e al cristianesimo di Sant’Agostino. Un santo, quest’ultimo, che fu uno dei primi grandi europei, di nascita però nordafricana. Ecco, l’Africa mediterranea, oggi islamica: se nascerà la triplice intesa del Sud, s’imporrà sempre più il necessario, costruttivo confronto con l’islam moderato. Un dialogo fra pari, senza confusioni e ammiccamenti. Senza dimenticare che il più saldo punto di equilibrio fra Atene e Gerusalemme, fra la ragione ellenica e il profetismo semita, rimane Roma. (Fine quinta puntata. Continua…)