Quella finanza che in Italia è già in campagna elettorale

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Quella finanza che in Italia è già in campagna elettorale

18 Maggio 2017

Quella finanza che in Italia è già in campagna elettorale. “Many of Europe’s largest investors are now turning their attention to another risk to their portfolio that is rapidly gaining momentum: the rise of Italy’s Five Stars Movement”, Madison Marriage e Jennifer Thompson scrivono sul Financial Times del 13 maggio come i più grandi investitori stranieri adesso temano per l’Italia il rischio 5 stelle. Qualche giorno fa Federico Fubini sul Corriere della Sera informava che le banche tedesche sono scappate dalla Penisola. Siamo sicuri che si voti nel 2018? L’arietta è che si stia preparando una bella campagna elettorale per l’autunno 2017.

Partiti come Sturmtruppen. “Dobbiamo mettere fine ai litigi che dividono partiti e governi” così Manfred Weber, esponente della bavarese Csu e capogruppo all’Europarlamento del Partito popolare europeo, dice alla Repubblica del 15 maggio. Quell’idea che i partiti debbano starsene ben allineati e non dividersi, c’ha un’impronta tipicamente tedesca.

Se uccidi il padre, questi non mancherà di protestare. “Mi ha fatto pietà” L’Espresso del 12 maggio riporta questo giudizio di  Jean Marie Le Pen sulla campagna della figlia Marine nelle presidenziali francesi. “Non sa quello che dice” Il Mattino del 14 maggio riporta questo giudizio di Umberto Bossi sulle dichiarazioni di Matteo Salvini dopo la vittoria alle primarie leghiste. Il Front National è un partito estremistico derivato da poujadismo e protesta per la decolonizzazione dell’Algeria, rilanciato da quel cinico di  François Mitterrand che per mettere in difficoltà i gollisti a metà degli anni Ottanta restaurò un sistema di voto proporzionale per il Parlamento, e poi consolidatosi grazie alla crisi della destra tradizionale determinata da due presidenti mediocri come Jacques Chirac e Nicolas Sarkozy. La Lega Nord è una risposta quasi spontanea della società dell’Italia settentrionale allo sbandamento della Dc demitiana incapace di dare un indirizzo alla nazione. Dopo la spontaneità, però, il movimento del Carroccio ha acquisito negli anni Novanta e poi dopo il Duemila, grazie innanzi tutto a Silvio Berlusconi, anche una lunga e solida esperienza di governo che invece manca alla destra radicale d’Oltralpe. Entrambi i movimenti (Fn e Lega) comunque al di là delle differenze sono cresciuti senza rapporti veri con settori dell’establishment e senza una cultura politica adeguata alle società complesse in cui operavano, surrogando a questa mancanza con un assetto sostanzialmente più tribale che da partito nazionale. E in una tribù quel che conta è il patriarca e la successione è regolata dall’“uccisione del padre”. Che nei nostri casi non manca di protestare. 

Il bambino-imperatore Trump e la realtà di un potere americano autoincantatosi. “At base, Trump is infantilist” scrive David Brooks sul New York Times del 16 maggio. Al fondo Trump è un bambino sostiene l’opinionista newyorktimista, tiepido-repubblicano, Brooks. Questa considerazione ci fa venire in mente una nota favola di Hans Christian Andersen sui “nuovi vestiti dell’imperatore”, quella che inizia così: “Molti anni fa viveva un imperatore che amava tanto avere sempre bellissimi vestiti nuovi da usare tutti i suoi soldi per vestirsi elegantemente”e finisce con un bambino che svela la dabbenaggine del regnante illuso da due imbroglioni di vestirsi con stoffe stupende mentre invece era nudo e nessuno osava dirglielo. Naturalmente come tutti anch’io sono colpito da un certo caos dell’amministrazione Trump, ma mi chiedo se un imperatore-bambino non fosse quello che ci voleva per dare una scossa a una nazione sempre più politicamente nuda ma che credeva di vestirsi con le meravigliose stoffe di una political correctness che stava spingendo (con una particolare velocità sotto Barack Obama) gli Stati Uniti nel caos internamente e globalmente.