Quella Napoli eroica e spontanea che combatte il nemico
17 Febbraio 2008
Sotto il Vesuvio spesso il
tragico si trasforma in commedia. Così, anche quando si alzano barricate e il
popolo si arma e si ribella, non è raro che lo sbocco poi sfiori il faceto
quando non si rovesci addirittura in farsa. Un po’ sotto la voce farsa, in effetti,
passano molti degli sbotti antisistema della storia moderna del capoluogo
campano. A cominciare da Masaniello, la cui rivoluzione, persino a certi
studiosi locali (vedi, ad esempio, il crociano Gino Doria), suonava piuttosto
come una burla. Lo stesso terribile moto liberale del 1799, con il grosso della
classe elevata partenopea decapitato o messo fuori uso, ha i suoi detrattori.
Non parliamo poi dell’insurrezione del 1848, sedata, al momento opportuno,
senza eccessiva pena dallo stesso Borbone contro cui era iniziata.
Insomma, fama e fortune
altalenanti accompagnano presso i posteri i passaggi critici della
napoletanità. Niente di strano pertanto che questa sorte tocchi anche a un dei
momenti più fulgidi della recente storia patria. Il riferimento è alle quattro
giornate di Napoli, ovvero a quelle settantasei ore, “dall’alba del 28
settembre all’antipomeriggio dell’1 ottobre” del 1943 in cui praticamente l’intera città
si levò contro gli occupanti germanici, costringendoli a battere in ritirata. Prende
le parti dei napoletani un bel libello di Giovanni Artieri intitolato appunto Le Quattro giornate. Breve storia di
un’epopea, appena riproposto per i tipi della fiorentina Le Lettere. Si
tratta di un vecchio studio, meglio di un schizzo in cui l’autore, partenopeo e
giornalista di razza, perora il carattere autonomo e spontaneo
dell’insurrezione anti tedesca: “I documenti e le prime trattazioni sulle
‘Quattro giornate’ asseverano, senza possibilità di equivoci, la nessuna
premeditazione della rivolta, il suo lento e slegato formarsi in punti
differenti dell’abitato, la sua rapida disseminazione per la città e la
periferia, il suo coagularsi in azioni sempre più serrate, sempre più coerenti
e intense…”. Tanto da poter affermare che alla Quattro giornate “mancò solo il
tempo per diventare da guerriglia” a “vera e propria guerra”. Insomma circa il
primo abbrivio dell’incipiente Resistenza.
Artieri ragiona poi sulle cause
dell’implosione. Ricorda le sofferenze patite dai residenti. Bersaglio
dall’inizio della guerra di ben 115 bombardamenti alleati con un passivo di ventimila
fra morti e feriti, a cui va aggiunta la massiccia devastazione di monumenti
“cari e rari della loro storia”. Al dunque, una città allo stremo, nascosta perlopiù
in grotte e gallerie, “dove la maggior parte della popolazione s’era ridotta a
menare una fetida e agglomerata vita cavernicola”. La miccia al malcontento
arriva però dagli ex alleati e dalla loro dissennata politica. E tocca al comandante, colonnello Scholl, la palma
del provocatore principe. Con i suoi bandi mette, infatti, alla disperazione
una cittadinanza già provatissima. Fame e sete faranno il resto. La rottura è
tuttavia improvvisa e si sviluppa “lungo l