Quelle “Vedove nere” che continuano a essere l’incubo di Mosca

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Quelle “Vedove nere” che continuano a essere l’incubo di Mosca

30 Marzo 2010

Una coppia di donne-kamikaze hanno provocato due esplosioni nella metropolitana di Mosca alle 7.56 e alle 8.39 di ieri, su dei convogli fermi alle stazioni di Lubyanka e Kultury Park. Era l’ora di picco per i lavoratori ma soprattutto per gli studenti. Finora il bollettino di morte registra 38 vittime e decine di feriti. Sono saltati in aria 6 chili di T4 modello “rdx”, particolarmente difficile da rilevare da parte delle unità cinofile.

L’identificazione delle attentatrici è stata possibile attraverso l’esame dei resti trovati, che corrispondono ad una giovane donna ed ad un’altra più anziana. Le rivendicazioni dell’attentato, comparse su qualche sito Internet, sono ancora fumose o inattendibili. Ma è altamente probabile che le autrici siano le famigerate "Vedove nere", le donne del Caucaso che hanno perso marito e figli nelle interminabili guerriglie dei movimenti ultra-islamici contro l’autorità di Mosca. Queste donne trasformate in bombe umane rappresentano il terminale operativo di un cervello capace di dirigerle più volte contro la metropolitana di Mosca, com’è accaduto ieri e come accadde nel febbraio e nell’agosto del 2004, oltre ad aver fatto esplodere due aerei civili russi, sempre nel 2004, e aver partecipato all’assedio della scuola di Beslan.

Il 2004 fu un anno orribile per la Russia. Ora quel tragico ricordo ritorna realtà. Alla fine dello scorso novembre il treno ad alta velocità Nevsky-Express, in viaggio da Mosca a San Pietroburgo, deragliò per un ordigno esplosivo piazzato sui binari. Morirono 39 passeggeri, lo stesso numero delle vittime degli attentati alla metro di Mosca del 6 febbraio 2004, per di più in una stazione limitrofa alle due colpite ieri. La tempistica degli attentati ha ripreso a farsi più fitta. Nel tragico ripetersi degli obiettivi selezionati si conferma la ricerca di un alto valore simbolico. La Lubyanka è la storica sede dell’ex Kgb e ora dell’Fsb, principale protagonista delle operazioni di sicurezza nelle turbolente repubbliche russe del Caucaso. Kultury Park, la seconda stazione colpita, è collegata al Gorky Park ed è tra le più eleganti realizzazioni dell’architettura stalinista. E’ stato un attacco al cuore dell’autorità e dell’identità russa, russa. E’ anche un forte segnale che la strategia negoziale recentemente impostata dal presidente russo Medvedev deve ancora maturare i suoi frutti.

L’istituzione del Distretto Federale del Caucaso del Nord, con decreto presidenziale firmato il 19 gennaio scorso, per accorpare la gestione delle repubbliche caucasiche in un unico centro direttivo, non riesce ad invertire la tendenza congenita al conflitto armato. In Cecenia, come in Inguscezia e in Dagestan, la situazione resta quella di una guerriglia persistente animata da rinvigoriti combattenti islamisti. Le forze armate russe rispondono colpo su colpo. Ma ormai è scattato nuovamente il circuito vizioso di attentati seguiti da rappresaglie russe, arresti e azioni preventive che a loro volta scatenano, giocoforza, nuovi attentati, quasi sempre diretti contro poliziotti, soldati, amministratori russi. La vera piaga della Cecenia resta comunque la sua condizione socio-economica, flagellata da carenze nei servizi sociali più essenziali e nelle infrastrutture vitali per ricostruire un tessuto economico con una forza lavorativa. Ecco perché oggi la tubercolosi è diventata un’epidemia a Grozny, la capitale cecena.

Medvedev ha dichiarato che “porteremo avanti senza compromessi le operazioni contro i terroristi, fino alla fine”. Perentorio Putin: “i terroristi saranno distrutti”. Però questo terrorismo caucasico ha resistito finora e ha raggiunto il punto di usare vedove come “shahid”, cioè martiri: la complessità della questione è il suo intreccio inscindibile tra estremismo religioso e ambizioni indipendentiste. Ora il Cremlino dispone di un ingente capitale di consenso popolare contro i ceceni. Al di là dei proclami di rito, la domanda è come verrà investito. La risposta è più che mai incerta – anche a Mosca.