
Quelli che…rispettare il “mandato popolare” ora è diventato retrò

22 Marzo 2018
I rischi per una democrazia non nascono dal voto ma da governi senza un adeguato mandato popolare. “Il rischio è che qualcuno, ossia la Lega e i Cinquestelle, preferisca davvero tornare alle urne piuttosto che adattarsi a compromessi di troppo”. Stefano Folli sulla Repubblica del 22 marzo spiega apertamente quale è l’essenza della cultura elitista oggi fortemente in campo: un forte mandato popolare agli eletti è un “rischio” mentre la regola dovrebbe essere adattarsi ai compromessi (di troppo) suggeriti/imposti dall’alto. Tutto ciò viene spacciato come la normalità democratica negli Stati Europei. Ma questa tesi non corrisponde al vero. Nelle nazioni dove si è espresso un partito con una maggioranza relativa e la chiara possibilità di fare coalizioni si sono spesi anche mesi per formare un nuovo governo perché c’era una volontà degli elettori che poteva essere soddisfatta (vedi Germania, Olanda, Belgio) dove c’era bisogno di avere un chiaro indirizzo popolare, si è tornati a votare (vedi Grecia, Gran Bretagna). In Spagna, quando Mariano Rajoy non ha avuto la maggioranza necessaria per fare un governo, si è tornati a votare. Solo dopo il voto, confermata l’impasse, si è formato un governo Rajoy con l’astensione dei socialisti. Gli esecutivi senza adeguato mandato elettorale susseguitisi dal 2011 al 2017 (governi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni) hanno prodotto in Italia la protesta senza adeguata proposta dei grillini. Proseguire sulla strada del “chi se ne frega del mandato popolare” seguendo le indicazioni di commentatori come Folli, porterà questa protesta ancora più in alto dello straordinario 32,7% raggiunto il 4 marzo.
Veltroni dice che bisogna andare insieme, e ci riesce benissimo. “Insieme si capisce molto di più che da soli”. Questa è la frase centrale di un’intervista che Walter Veltroni ha rilasciato ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera del 18 marzo. L’obiettivo per così dire concretamente politico di questo colloquio è contribuire all’operazione in corso di emarginazione di Matteo Renzi e sostenere un esecutivo del presidente che veda una convergenza tra Cinquestelle e Pd. Ma quando il primo imitatore di Fonzie (in questo predecessore del genietto di Rignano) entra in campo, lo spettacolo principale non sono le sue manovre bensì la strampalata retorica che distribuisce ai lettori: “Sottrarsi al presentismo assoluto”, “coriandolizzazione dell’esperienza umana”, “non possiamo vivere al ritmo concitato di tweet”, “in luoghi fisici per parlarsi; il calore, lo scambio meraviglioso”, “il Pd è stato il Pd per un breve periodo, poi è somigliato troppo ai Ds”, “non confondiamo il sogno dell’Ulivo con l’incubo dell’Unione”, “a Renzi non riserverò nessuna delle parole che furono riservate da Renzi alle persone che in altri momenti avevano avuto responsabilità”. Cazzullo è magico (sembra lo sceneggiatore di un film di Nanni Moretti) nel restituire lo straparlare veltroniano, le sue formule rifritte e distorte che sostituiscono l’argomentazione razionale. Peraltro, dopo essermi immerso in questo flusso, ritengo di poter certificare che, se l’obiettivo di Walter, per capire di più, era quello di andare insieme, il glorioso ex dirigente del Pci l’abbia largamente raggiunto e sia andato completamente insieme.
Storie curiose di inaffidabilità. “Ormai sono inaffidabili”. Alessandro Torcino sul Corriere della Sera del 18 marzo riporta i pareri di ambienti cinquestellati sui rapporti con quelli del Pd. Questi ultimi non sarebbero affidabili. E’ curioso notare come in così poco tempo i grillini siano arrivati a pensare dei piddini, quello che i piddini pensavano dei grillini solo qualche settimana fa.
Quegli eroici sostenitori di una visione realistica di che cosa è oggi l’Unione europea, che contengono la strabordante retorica eurofanatica. “The morality of the EU’s policy to run a large and persistent surplus with the rest of the world. Or indeed of making defence spending promises they had no intention of keeping”. Il solito meraviglioso Wolfgang Münchau sul Financial Times del 18 marzo spiega le inesistenti basi su cui si fonda l’esibita superiorità morale dell’Unione europea guidata da quei due mercanti un po’ imbroglioni che sono Angela ed Emmanuel, ricordando le dimensioni del surplus commerciale del nostro Continente nonché la scarsa disponibilità a finanziare la sicurezza continentale. Anche Danilo Taino su Economia, supplemento del Corriere della Sera del 19 marzo porta un contributo a questa realistica visione: “L’Ifo è uno dei centri di analisi più influenti in Germania. Calcola che la media dei dazi che la Ue impone sulle importazioni Usa sia del 5,2 %, contro il 3,5% di quella americana”. C’è un grande bisogno di questi commentatori onesti e realistici che sfidano il pensiero unico dominante tra le èlite e nei media, per resistere all’insensato flusso euroretorico che continua incessantemente a scorrere. Così Sabino Cassese sul Corriere della Sera del 19 marzo: “Se qualcosa si cede, tuttavia, molto si guadagna, potendo far sentire la propria voce anche in ambiti ai quali una volta i singoli Stati non potevano avere accesso”, il noto giurista spiega come le concessioni spesso inconsapevoli di sovranità siano compensate dal potere di far sentire la nostra voce su temi su cui poi perlopiù dopo saremo commissariati. Così Andrea Bonnani sulla Repubblica sempre del 19: “Il cambiamento dello scenario internazionale fa sì che l’Europa finisca inevitabilmente per riconoscersi in quell’insieme di valori che trent’anni fa sembravano universali e che oggi sono sempre meno rispettati fuori dai nostri confini (e in qualche caso anche all’interno delle frontiere europee)”. Il solito idilliaco scenario dell’Unione europea come unica isola del diritto, celebrato nel momento in cui qualsiasi persona ragionevole constata come si restringano drammaticamente le basi del consenso democratico per le nostre istituzioni nazionali e sovranazionali.