Quell’inno ai magistrati è come un assegno in bianco

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Quell’inno ai magistrati è come un assegno in bianco

26 Gennaio 2011

Non mi piace la facilità con la quale in Italia si concedono le lauree honoris causa. Il ministro Fabio Mussi  tentò invano di porre un argine a un riconoscimento accademico che ricordava la scena de ‘Il Silenzio è d’oro’ di René Clair dove il dignitario turco distribuiva medaglie e onorificenze a tutta la troupe del film diretto da Emile, l’indimenticabile Maurice Chevalier. Penso pure che  tale  riconoscimento debba essere conferito solo a quegli scienziati, letterati, artisti la cui opera è apprezzata da tutti e che nessuno potrebbe identificare con  campi ideologici "l’un contro l’altro armato". (Chi si opporrebbe, ad esempio, ad una laurea h.c. a Raffaele La Capria? O a Emanuele Macaluso?).

La mia è un’opinione, ovviamente, e so bene che tanti miei colleghi universitari la pensano in maniera diversa. Essi ritengono che i promotori di ‘campagne moralizzatrici’, specie nel caso di registi o di romanzieri, vadano celebrati anche per dare una ‘lezione’ a quella  parte rilevante della ‘società civile’ che non ne condivide affatto la passione politica. "Il mondo" diceva il vecchio J. S. Mill "è pieno di dei" ma  da noi ci si rifiuta  di prendere atto che nessuno ha in tasca la misura del Bene ma siamo tutti fallibili nei nostri giudizi e nelle nostre scelte politiche.

Massimo rispetto, comunque, per le autorità accademiche genovesi che hanno voluto incoronare Roberto Saviano e per il folto pubblico che, nell’Aula Magna, ha applaudito la sua lectio doctoralis, ‘Il racconto del potere criminale come affermazione del diritto’. A lasciarmi molto perplesso, invece, è il ‘coraggio’ con cui il neo-dottore ha dedicato la sua laurea "ai magistrati Bocassini, Sangermano e Forno che stanno vivendo momenti difficili solo per aver fatto il loro mestiere di giustizia". Che quella dedica intendesse colpire Berlusconi e il suo governo  non è certo un processo alle intenzioni  ma non è questo il punto.

Anche Fini, parlando a Reggio Calabria, ha elogiato la  magistratura e anche nel suo caso è fin troppo scoperto il bersaglio polemico ma i due elogi sono molto diversi. Sciogliere inni a singoli magistrati prima che si sia conclusa un’inchiesta, prima che si sia celebrato un processo, prima che le imputazioni siano state provate e gli indiziati condannati, significa oggettivamente la fuoruscita inequivocabile dalla ‘civiltà liberale’, la stura a una guerra intestina dalla quale usciremo tutti con le ossa rotte. E’ in tal modo che viene accolto l’invito del Presidente Napolitano a stemperare i toni delle polemiche e  a recuperare un ben diverso senso delle istituzioni?

Nel nostro paese, in relazione alla ‘dolce vita’di Arcore, le divisioni vere non riguardano la condotta privata del premier — a dir poco, indecente e indegna di un capo di governo — ma la rilevanza penale dei suoi ‘costumi’ e delle sue cattive frequentazioni. Per molti italiani, guastati dalle letture dei classici del liberalismo, la colpa morale, il reato e il peccato stanno su piani diversi; per altri, sensibili al ‘repubblicanesimo’ delle virtù, un puttaniere è uno con tanti scheletri in armadi che giudici e poliziotti debbono spalancare e mostrare al pubblico.

Abbiamo concezioni diverse – e, in una società pluralista, tutte egualmente legittime – dei rapporti tra etica/politica/diritto. Vogliamo che in sede accademica diventi ‘ufficiale’ la filosofia politica dei Saviano, dei Di Pietro, dei Travaglio, dei Flores d’Arcais? "Come vi piace!", purché non si criminalizzino le ‘dissenting opinion’ di quanti sui giudici milanesi danno un giudizio opposto a quello del neo-dottore.

(Tratto da Il Secolo XIX)