Questa crisi impartisce lezioni, regala speranze e diffonde ottimismo

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Questa crisi impartisce lezioni, regala speranze e diffonde ottimismo

10 Maggio 2010

“Every cloud has a silver lining” dice un antico proverbio inglese. Vediamo quindi quali possono essere i contorni argentei di questa nuova perturbazione che, a differenza della precedente, colpisce esclusivamente l’Europa.

Innanzitutto per noi Italiani la crisi è servita per stabilire che il nostro paese non è tra le peggiori economie europee.

Nel Giro d’Italia che sta per cominciare, le differenze si apprezzeranno quando, finite le pianure, i corridori affronteranno le tappe dolomitiche. In questi ultimi mesi allorché l’attenzione degli operatori e degli analisti si è concentrata sulla valutazione dell’impatto della crisi e la sostenibilità della finanza pubblica è emersa con chiarezza la differenza dell’Italia rispetto ai paesi meno virtuosi della Unione europea.

Secondo i grandi centri di analisi macroeconomica (Fondo monetario, OCSE), i report delle banche di affari, le – tanto vituperate – agenzie di rating, la valutazione del nostro paese è nettamente migliore di quella nei confronti della Spagna, Portogallo, Irlanda per non parlare della Grecia. Basti considerare i dati relativi al disavanzo di bilancio, il saldo di parte corrente, la posizione debitoria netta complessiva del settore pubblico e privato, il tasso di disoccupazione. Anche il pur modesto tasso di crescita sarà nel nostro paese, per l’anno in corso e per il prossimo, migliore di quello del gruppo di paesi (PIGS) in cui l’Italia pedalava nelle tappe di pianura del Giro. Questo non deve farci sentire al sicuro o nascondere le esigenze di riforma del nostro paese, ma ci rassicura sul fatto che gli operatori sono in grado di differenziare nelle loro valutazioni i paesi che si muovono nella giusta direzione.

Il secondo elemento positivo da non sottovalutare, è l’indebolimento dell’euro rispetto al dollaro che aiuterà la crescita in Europa.

Aumenteranno le vendite extraeuropee dei grandi paesi esportatori – Germania, Francia, Italia – e questi a loro volta traineranno la domanda all’interno del resto dell’Europa. Ne beneficeranno in misura più rilevante le economie come l’Italia dove la componente delle esportazioni è relativamente maggiore nella composizione del prodotto interno lordo. In presenza di ampi margini di capacità produttiva non utilizzata in Europa, le pressioni inflazionistiche che si accompagnano con una svalutazione del cambio non dovrebbero per il momento manifestarsi.

Insomma la crisi di questi mesi che ruota intorno alle difficoltà dei bilanci pubblici di alcuni paesi dell’Europa ci regala il paradosso di un’area dell’euro più forte sul piano concorrenziale.

Infine il terzo elemento positivo di questa crisi è di farci aprire gli occhi sui problemi del vecchio continente; su quanto sprechi, rigidità e squilibri caratterizzino ancora le economie dei paesi europei.

Dopo l’introduzione dell’euro, i paesi dell’Unione europea avevano goduto di un periodo di grande stabilità economica e finanziaria, in seguito alla discesa dei tassi di interesse, derivante dalla abolizione delle valute nazionali, e alla dinamica  sostenuta della domanda mondiale proveniente dagli Stati Uniti e dai paesi emergenti. Quando la marea sale è più difficile accorgersi di quanto sia “zavorrata” la nostra imbarcazione. Per altro, l’abolizione dei tassi di cambio tra le valute europee ci aveva privato di un importante campanello di allarme che segnalava tempestivamente le situazioni di squilibrio. Inoltre, la crisi del 2008 originata negli Stati Uniti ci aveva fatto ritenere che tutto sommato nella vecchia Europa, scevra degli eccessi del turbo capitalismo finanziario americano, le cose non andassero poi così male.

L’auspicio è quindi che la crisi di questi giorni possa fungere da catalizzatore dalle tanto attese riforme di carattere strutturale che consentano di accrescere la produttività e la flessibilità del sistema economico europeo, così come negli anni ottanta i drammatici “riallineamenti” dei tassi di cambio dello SME inducevano i governi ad adottare impopolari misure correttive.