Questa volta difendo Lucio Dalla

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Questa volta difendo Lucio Dalla

06 Marzo 2012

Lucia Annunziata non sarà Hannah Arendt e, d’altra parte, non è una colpa non avere il genio della grande pensatrice ebraica. Ma c’è un limite a tutto. Se non si può pretendere che si scrivano o dicano parole che elevano gli animi fin sulla cima dell’Everest, non per questo sono tollerabili riflessioni che li fanno sprofondare nella fossa delle Marianne. Nella trasmissione “In ½ ora” su ‘Rai3’, la giornalista-conduttrice ha sentenziato: «I funerali di Lucio Dalla sono uno degli esempi più forti di quello che significa essere gay in Italia: vai in chiesa, ti concedono i funerali e ti seppelliscono con il rito cattolico, basta che non dici di essere gay. È il simbolo di quello che siamo, c’è il permissivismo purché ci si volti dall’altra parte».

Il cantautore – la cui omosessualità era nota da almeno quarant’anni – non ha mai ostentato, in effetti, la sua ‘diversità’ : come capita a molti, omosessuali o eterosessuali, ha sempre tenuto la sua ‘privacy’ lontana dai riflettori, com’era suo sacrosanto diritto. La cosa non è piaciuta né all’Annunziata, né a Simonetta Moro, "agente di polizia municipale e presidente di Polis Aperta, un’associazione che tutela gay e lesbiche appartenenti alle forze di polizia”, né, tanto meno, a Franco Grillini, il presidente del Gaynet, già candidato socialista a sindaco di Roma, che, in una trasmissione televisiva di alcuni anni fa, aveva deprecato il fatto che in Italia più dell’80% degli appartamenti fossero di proprietà di quanti vi abitavano (evidentemente, era un nostalgico del collettivismo sovietico ma, of course riveduto e guarito dalla ben nota omofobia dei capi comunisti). Commentando le parole dell’Annunziata, Grillini ha salomonizzato: «ha ragione quando denuncia l’ipocrisia della Chiesa cattolica dicendo che se Dalla fosse stato gay dichiarato non gli avrebbero fatto i funerali in chiesa». Ea dixit: il bello della Verità è il suo tono apodittico!

Insomma, in un paese davvero civile, il povero Dalla avrebbe dovuto proclamare urbi et orbi le sue tendenze sessuali, la Chiesa avrebbe dovuto spalancare egualmente al suo feretro le porte di San Petronio e, durante la cerimonia, si sarebbero dovute sentire le “canzoni con un esplicito riferimento alla questione gay” (ma non ci si è anche lamentati del fatto che, per ragioni di mercato o per un oscuro complesso di colpa, Dalla, nelle canzoni d’amore, avesse reso femminili oggetti d’amore che tutti sapevano maschili?).

In realtà, tutto questo è puro, semplice, inequivocabile e inestinguibile odio della ‘civiltà liberale’. In nome della condanna dell’ipocrisia, si vuole la ‘casa di vetro’, la possibilità per tutti di ficcare lo sguardo nelle stanze (e nelle alcove) altrui; non si riconosce alla Chiesa il diritto e la libertà di considerare certe pratiche non conformi alla sua etica e agli ‘insegnamenti divini’ (tali, ovviamente, per i suoi teologi e i suoi vescovi); si vuole imporre a tutti la cifra che meglio definisce l’antiliberalismo: l’indistinzione tra colpa, peccato e reato. Per questa sindrome intellettualmente totalitaria, non solo l’omosessualità non può essere considerata un reato – e, pertanto, è da riguardare come una pratica senza alcun rapporto con la dimensione giuridica – ma tale elementare e irrinunciabile principio di civiltà è solo la premessa di una ‘rivoluzione culturale’ di ben più vasta portata, intesa a fare a pezzi le concezioni tradizionali dell’individuo, della famiglia, della società civile. Se non è più un reato, l’omosessualità va cancellata come ‘colpa’ morale da tutte le etiche — laiche e religiose – e rimossa come ‘peccato’ da tutti i trattati di teologia morale: le carte di identità e i registri dell’anagrafe vanno completamente rifatti e ai tre generi (etero, omo e trans) si deve assicurare la stessa visibilità e presenza nella società civile–magari con leggi ad hoc, che obblighino, ad es., il Festival di Sanremo al rispetto delle “quote”: tre canzoni sugli amori eterosessuali, tre sugli amori gay e tre sugli amori trans… Le concezioni del mondo del trio Annunziata/Grillini/ Moro (Simonetta), in fatto di sessualità, come i postulati della kantiana ragion pratica, sono “universalizzabili”. In tutti i luoghi di lavoro, di svago e di ritrovo, dalle balere ai teatri, dalle canoniche alle federazioni sindacali, dalle Università alle Accademie scientifiche, spetta all’Arcigay, agli atei razionalisti, ai soci della Giordano Bruno, il compito di dettare le norme riguardanti la sfera dei rapporti sessuali, i limiti della libertà delle chiese, le frontiere della tolleranza, i contenuti della ‘laicità’.

Non credo affatto che a un Lucio Dalla “gay dichiarato” sarebbero stati negati i funerali in Chiesa, specie tenendo conto dello stomaco di stagno delle attuali gerarchie cattoliche–sere fa, rimasi vivamente colpito da un’intervista televisiva di don Andrea Gallo che ridicolizzava il suo vescovo, facendogli fare la figura del ‘povero di spirito’, che non sapendo cosa rispondere alle richieste di ‘riconoscimento’ avanzate dai trans, se la cavava invitandoli a…pregare– ,se, però, mi sbagliassi, e di grosso, rivendicherei il mio diritto di disapprovare la chiusura di San Petronio alle sue ‘spoglie mortali’ e non rinuncerei a far rilevare ironicamente che, anche a voler considerare peccato l’omosessualità, sarebbe difficile giustificare tanta intransigenza quando si celebrano messe funebri per ‘peccatori’ ben più ‘impresentabili’ dei (semplici) gay. Anche in questo caso, però, difenderei la libertà della Chiesa di ospitare nella ‘casa del Signore’ chi vuole, così come mi guarderei bene dall’interferire con le decisioni del Lions Club di stabilire determinati criteri di ammissione per gli aspiranti soci. Se i codici della Chiesa e del Lions non mi convincono, mi terrò lontano dall’una e dall’altro ma non pretenderò che l’una o l’altro si lascino dettare da me quel che debbono fare, pensare e tollerare (o non tollerare).

Nel nostro paese, non c’è occasione pubblica che non faccia riemergere l’idra antiliberale dalle sette teste: persino lo stile libertario è diventato, da tempo, uno smoking per rendere elegante e rispettabile l’abominevole yeti integralista e totalitario. La figura del censore sembra essere l’ideale di tutti, a destra e a sinistra, della Bonino come della Binetti, a cambiare sono soltanto criteri e oggetti della censura: per i tradizionalisti, andrebbero sanzionati i laicisti e, per i laicisti, i tradizionalisti, sempre però con la premessa che “tutte le opinioni vanno rispettate quando non ledono i diritti e la libertà degli altri” – dove, beninteso, ogni gruppo si riserva il diritto di stabilire sovranamente chi e quando calpesta la sua libertà e offende la sua dignità.