Raul Castro rafforza il suo potere aspettando la prima mossa degli USA
07 Marzo 2009
La comunità cubano-americana è ancora in attesa di vedere quale sarà il cambiamento della politica statunitense nei confronti del regime castrista. Cuba non è la priorità della nuova Casa Bianca, alle prese con la crisi economica, con il ritiro graduale dall’Iraq e con l’escalation della guerra in Afghanistan. Per vedere quali saranno le prime mosse, occorre aspettare ancora il mese di aprile, quando si riunirà il Summit delle Americhe, dove il governo cubano non è invitato, ma è sempre al centro dell’attenzione nell’agenda dei lavori.
Per ora, della prossima strategia americana si conoscono con certezza solo le dichiarazioni di intenti. Il Congresso statunitense ha nelle sue mani il rapporto redatto dal senatore repubblicano Richard Lugar (presentato lo scorso 23 febbraio), che chiede di rivedere completamente l’utilità della politica di embargo. Lugar sostiene essenzialmente che, dal 1962 ad oggi, il blocco non ha facilitato la democratizzazione di Cuba, quindi è politicamente inutile.
In campagna elettorale Obama non ha affatto promesso di porre fine all’embargo sull’isola caraibica. Ha piuttosto espresso la volontà di legalizzare le rimesse degli emigrati cubani e di deregolamentare il turismo.
Se il cambiamento americano è di là da venire, un cambio improvviso al vertice è stato ordinato da Raul Castro a Cuba il 2 marzo. Il presidente, successore del fratello Fidel, ha rimosso dal loro incarico tutti i principali ministri, rimpiazzandoli con uomini a lui fedeli. E lo ha fatto improvvisamente e senza troppe cerimonie: appena una notiziola data dalla Tv cubana a mezzogiorno, dopo le notizie sportive e le previsioni del tempo.
La vittima più illustre di questa vera e propria purga è il segretario del Consiglio dei Ministri, Carlos Lage, noto per aver permesso all’economia cubana di sopravvivere anche dopo il collasso dell’Unione Sovietica. Lage, medico cinquantasettenne, è stato ora rimpiazzato da un militare di carriera, il generale José Armando Ricardo Guerra, funzionario di alto livello nel Ministero delle Forze Armate Rivoluzionarie e precedentemente ministro dell’Industria del Ferro e dell’Acciaio, settore fondamentale per la logistica dell’esercito. Come tutti i militari, deve la sua carriera a Raul Castro.
Ancor più sbalorditivo è il licenziamento di Felipe Perez Roque, quarantetreenne ministro degli Esteri, fedelissimo di Fidel Castro, da molti osservatori indicato come possibile futuro presidente cubano. E forse caduto in disgrazia proprio per questo motivo. Anche Perez Roque è stato rimpiazzato con un funzionario di carriera, Bruno Rodriguez, diplomatico, ex ambasciatore presso le Nazioni Unite.
Terza vittima illustre è il ministro dell’Economia José Luis Rodriguez, sostituito da un altro ministro, quello del Commercio Interno, Marino Murillo Jorge, altro militare di carriera, ex colonnello delle Forze Armate Rivoluzionarie. E ancor più significativa è la sostituzione di Otto Rivero Torres, vicepresidente del Consiglio dei Ministri, con Ramiro Valdes Menendez, anziano militare e veterano della rivoluzione: combatté nella Sierra Maestra al fianco dei fratelli Castro ed è conosciuto come uno degli uomini più intransigenti del regime.
Raul Castro aveva da tempo annunciato la sostituzione di buona parte del governo per renderne la struttura “più compatta e funzionale”. Il che si traduce, viste le nomine, in: più fedele personalmente al nuovo presidente. Sandy Acosta Cox, analista politico di Echo Cuba (un’associazione non profit evangelica di Miami), aveva subito scritto sulle colonne del Miami Herald: “Credo che questo dimostri che ci sono più fazioni nel governo, i ‘fidelisti’ e i ‘raulisti’. Ponendo al vertice i ‘raulisti’ specie prima dell’importante annuncio politico che tutti attendono da un momento all’altro – la morte di Fidel Castro – Raul si assicura che non vi sarà una lotta di successione fra le due fazioni”.
In molti casi, ai tempi dell’Urss, i cremlinologi avevano ipotizzato spaccature interne, che poi, alla luce dei documenti emersi negli anni ’90, si sono rivelate inesistenti. Nel caso di Cuba, senza attendere l’apertura di archivi segreti, è stato Fidel Castro stesso a smentire l’ipotesi di una lotta intestina, scrivendo un articolo sul quotidiano Granma (il 3 marzo, il giorno dopo i licenziamenti dei ministri), in cui afferma di aver dato egli stesso l’assenso a questo rimpasto/purga di governo. “Essi si sono fatti troppo affascinare dal miele del potere”, ha detto riguardo ai “ministri di cui ora si parla di più”, non nominandoli ma lasciando intendere che si trattasse di Lage e Perez Roque.
Non si può neppure trovare un nesso fra questo ricambio al vertice e la prospettiva di una nuova politica estera statunitense. Ne è convinto l’esule Carlos Wotzkov, biologo, ricercatore a Ginevra e attento osservatore della politica cubana: “Il cambio al vertice a L’Avana” – spiega a L’Occidentale – “non ha nulla a che vedere con le relazioni cubano-americane, ma con la necessità urgente di Raul Castro di mostrare il suo nuovo potere, di avere persone a lui fedeli ai massimi vertici. Raul Castro non si fida di nessuno ed è logico che piazzi al potere i suoi uomini. Ma attenzione: questi cambiamenti sono senza dubbio approvati da Fidel Castro e probabilmente dietro la richiesta continua di Raul di avere un po’ più di potere reale. Non è un segreto che, fino ad ora, Raul è stato un pupazzo nelle mani di Fidel e con questo cambio al vertice, Raul potrà mostrare al popolo che ora è lui realmente l’uomo al potere”.
Questa è la Cuba a cui Obama vuole aprire la porta del commercio e della distensione diplomatica. Un regime che, contrariamente al presidente americano, finora non ha mai voluto (e dimostra di non volere in futuro) alcun “change”.