Rebus elezioni: se il “tedescum” divide il Pd

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Rebus elezioni: se il “tedescum” divide il Pd

Rebus elezioni: se il “tedescum” divide il Pd

31 Maggio 2017

Per la legislatura è un momento cruciale. I partiti sentono sempre più nell’aria l’avvicinarsi delle urne. E così i temi all’ordine del giorno attorno al quale ruota il dibattito politico, ovvero legge elettorale e manovrina, diventano incandescenti. La manovra approvata dalla Commissione Bilancio della Camera, ieri è passata al vaglio dell’aula dove il governo ha chiesto la fiducia per accelerare i tempi, in modo tale da ottenere l’ok del Senato entro la scadenza del 23 giugno. Ma è il dibattito sulla legge elettorale a movimentare le forze politiche.

Pd, M5S e Forza Italia sembrano aver trovato una intesa sul cosiddetto “modello tedesco”, un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 5%; modello che perlomeno appare più convincente del “Rosatellum”, l’ultimo ritrovato in ordine di tempo del Pd che rischiava di essere solo un altro bel pasticcio. “Mi sembra che si stia andando verso una legge elettorale condivisa e verso un sistema proporzionale che è un sistema di giustizia” commenta Silvio Berlusconi, che aggiunge “Spero che sia unito”. Auspicio che nei giorni scorsi aveva espresso anche il leader di Idea, Quagliariello (Idea), “mi piacerebbe una forza di centrodestra unita, anche se con due forze motrici, una leghista e una guidata da liberali e conservatori”.

Il “tedescum”, però, non mette d’accordo proprio tutti. Se i centristi di Ala, archiviato il “verdinellum”, sembrano pronti a riallinearsi a Renzi annunciando “non faremo barricate”, è all’interno del Pd che le acque tornano ad agitarsi. Ieri, a ridosso della direzione dei Dem, 31 senatori capitanati da Vannino Chiti hanno indetto una conferenza stampa a Palazzo Madama per presentare un documento contro il proporzionale e soprattutto contro il voto in autunno. L’area è quella del ministro Orlando, lo sfidante di Renzi alle primarie. E Orlando esprime dubbi sulle mosse di Renzi: “Siamo certi che coi rapporti di forza” che si creeranno con il proporzionale “il governo potrà fare le cose che oggi non riesce a fare il governo Gentiloni?” si chiede il ministro. “Non ne sono convinto. Io non credo che garantirà stabilità” ha sottolienato il guardasigilli per poi lanciare uno stoccata al segretario Pd sull’accordo con Berlusconi: “Sarà un nostro problema spiegare come la costruzione di un’alleanza con Forza Italia sia compatibile con un disegno riformista del Paese”.

Si riaprono le vecchie crepe, dunque, che contribuiscono a rendere ancor più confuso il clima all’interno della maggioranza. Anche perché ieri ad andare in crisi, sempre sulla legge elettorale, sono stati gli alfaniani di Alternativa Popolare, l’alleato di governo del Pd, a cui non va giù la soglia di sbarramento al 5%, giudicata troppo alta. Alfano ha provato a far ragionare Renzi per abbassarla al 3% o al 4%, ricevendo però una risposta perentoria dall’ex premier: “Se il sistema è tedesco deve essere tedesca anche la soglia di sbarramento”. Posizione ribadita più volte da Renzi in Direzione. Ncd-Ap è stata spremuta a dovere negli ultimi anni da Renzi, che adesso, com’era prevedibile, va avanti per i fatti suoi. L’ex ministro Lupi minaccia: “Niente accordo con la legge elettorale? Il Pd voti la manovra con Grillo e Salvini”. Ma Di Battista (M5S) mette le mani avanti e sulla manovra dice: “Non daremo una mano al Pd”. Trovare un accordo sulla legge elettorale, per i pentastellati, non significa fare da spalla ai Dem.

Anche gli scissionisti di Mdp annunciano di non voler votare la manovra: “È molto probabile che non voteremo nè la fiducia nè la manovra” dice Arturo Scotto. Il nodo per Articolo 1 è la reintroduzione dei simil-voucher in manovrina. Tuttavia anche in questo caso i timori che la soglia possa mettere a rischio la permanenza nel prossimo Parlamento sono alti. Ecco perché le barricate alzate dai bersaniani sulla manovra hanno, con ogni probabilità, il duplice scopo di eliminare gli odiati voucher da una parte e di provare a fare asse con chi si oppone alla soglia del 5% dall’altra.

I partiti, insomma, corrono verso il voto. E il governo? A chi gli chiedeva un opinione sulla fine della legislatura, il premier Gentiloni ha risposto glissando, “il governo è nel pieno delle sue funzioni”. Più preoccupato Padoan secondo cui alcuni “cambiamenti in campo economico sono difficili con il ciclo elettorale”. Delrio, invece, distingue legge elettorale ed elezioni: “Approvare la legge elettorale non significa sciogliere le camere”. Prerogativa che, in effetti, spetta al Presidente Mattarella il quale, una volta valutate anche le possibili ricadute economiche di un voto in autunno, deciderà di concerto con il Governo come risolvere il rebus elezioni. 

“Da vice Presidente della Camera e da Ministro dei rapporti con il Parlamento ho sempre saputo che il calendario dei lavori parlamentari lo stabiliscono le conferenze dei capigruppo di Camera e Senato, sentito il parere del Governo,” chiosa Carlo Giovanardi (Idea). “Non mi sembra sia stata ancora approvata una riforma della Costituzione che riserva a Matteo Renzi  il compito di dettare tempi e modi del lavoro del Parlamento, all’insaputa immagino di presidenti di Camera e Senato, addirittura fissando termini perentori per il varo di  una riforma elettorale delicata e il più possibilmente condivisa”.