Referendum: 10 buone ragioni per dire #IoVotoNO!

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Referendum: 10 buone ragioni per dire #IoVotoNO!

03 Dicembre 2016

Ultima puntata della nostra rubrica per dire NO al referendum. Dieci buone ragioni per votare NO contro il pasticcio costituzionale Renzi-Boschi-Alfano-Verdini. 

1) No al pasticcetto Boschi perché… una riforma costituzionale deve essere sistemica (e solo bocciare gli improvvisatori/imbroglioni può aprire la via a vere riforme). “La riforma proposta non è una revisione della Costituzione, ma è un’altra costituzione: vengono cambiati 47 articoli su un totale di 139”, scrive Luigi Ferrajoli su Left. Questo è l’argomento centrale della critica al pasticcetto Boschi. Se di fatto riscrivi largamente la Carta fondamentale del tuo Stato metti mano a un sistema in cui si bilanciano valori e poteri, poteri e contropoteri, non puoi definire “un aggiornamento” l’opera che hai intrapreso cambiando un terzo delle norme, non puoi avere solo logiche microfunzionalistiche (“così è più veloce”). Come ancora sulla Repubblica hanno scritto sia Gaetano Quagliariello, “La riforma determina squilibrio”, sia Guido Calvi che denuncia “L’intero squilibrio del sistema ordinamentale”. L’esigenza di equilibrio è il contrario di quel che deriva dal pasticcetto Boschi. Si poteva fare altrimenti? Certamente, si era dato vita a una commissione di saggi che avrebbe potuto suggerire un ampio rinnovamento della Carta con una forte visione sistemica. Perché non si è proseguito su questa strada? Perché il sistema di influenze internazionali che ha commissariato l’Italia dopo il 2011 non chiedeva un rafforzamento dello Stato italiano (al fondo un intralcio per i già precari equilibri internazionali in corso) ma solo una maggiore capacità del governo di adeguarsi alle varie direttive estero “consigliate”, e ha trovato uno spericolato avventuriero in Matteo Renzi che, per concentrare potere su se stesso, si è reso disponibile a riformare una Costituzione con un Parlamento travagliato (il sistema che lo ha eletto era stato bocciato dalla Alta Corte ed era esplosa una corsa al trasformismo)  e imbrogliando quelli con cui doveva cambiare le norme fondamentali dello Stato (a Silvio Berlusconi aveva promesso come “garanzia” del “processo costituente” una comune elezione del presidente della repubblica, a Pierluigi Bersani di modificare il sistema elettorale già proposto, il cosiddetto Italicum).

2) No al pasticcetto Boschi perché… in una Costituzione vanno proposti valori non solo soluzioni più o meno funzionali. “Le leggi istituzionali configurano un sistema di valori” osserva sul Corriere della Sera Giuseppe Gargani. Quando si critica il pasticcetto Boschi per la sua mancanza di visione sistemica, si ha presente anche l’aridità di valori che viene trasmessa dalle modifiche introdotte. Così tutto sarà più veloce, è questo l’unico argomento, Soprattutto la cultura cattolica e quella meridionale (in particolare quella irpina) si sono scandalizzate per questa aridità, il ricordo del centralismo dello Statuto albertino e di quello del fascismo sono forti in chi invece chiede istituzioni radicate nella storia e dunque nei valori del proprio popolo.

3) No al pasticcetto Boschi perché… tradisce la cultura del decentramento dello Stato nel momento in cui persino Francia e Gran Bretagna la promuovono. “La riforma, invece, i) ricentralizza un blocco imponente di materie, ii) introduce un senato federale che però determina ora il paradosso inverso a quello precedente (ovvero un Senato federale senza più federalismo), iii) introduce la clausola di supremazia tipica dei sistemi federali, senza però che quello italiano, a seguito del riaccentramento della riforma, possa più, nemmeno lontanamente, qualificarsi tale. Questo impianto consegna le regioni ordinarie virtuose al destino di vedersi soffocate da quell’inefficiente centralismo italiano (che non è quello francese) che già Luigi Sturzo criticava nel 1949: ‘Milanesi e pavesi, fiorentini e pisani, torinesi e genovesi, veneziani e padovani, romani e napoletani, si domanderanno per quale ragione di inferiorità non potranno le loro Regioni avere voce in capitolo nell’ordinamento dell’istruzione elementare e media, nei musei e nelle accademie e perfino nelle loro gloriose università, più gloriose nel tempo antico che non sotto l’unificazione e l’uniformismo del fu Regno d’Italia. Ma no: la repubblica nega loro il diritto di occuparsi dell’istruzione (tranne l’artigiana e la professionale) perché il mastodontico ministero della pubblica istruzione deve mantenere statizzati e regimentati i maestri e le maestre, i professori e gli insegnanti, occupandosi persino dei trasferimenti, permessi e concorsi e pensionamento di tutto il personale scolastico compreso bidelli e uscieri. Quanto un tale accentramento sia dannoso per l’istruzione italiana non c’è persona con la testa sulle spalle che non lo affermi’. I danni ai modelli di organizzazione sanitaria delle regioni virtuose (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana), che sono oggi eccellenze mondiali, potranno essere ingenti. Il punto di forza di questi sistemi è la differenziazione: il modello lombardo è diversissimo da quello toscano, quello veneto da quello emiliano e così via. Ma la semplice tutela dell’interesse nazionale, vale a dire dell’indirizzo politico della maggioranza, potrà consentire, attraverso l’esercizio della clausola di supremazia, di riaccentrare in modo egualitario tutta l’organizzazione sanitaria”. Riporto un lungo esaustivo estratto da uno scritto di Luca Antonini su Il Sussidiario perché illustra non solo con precisione ma anche passione (ecco un elemento che manca sempre ai pasticceri della Boschi) uno dei punti fondamentali delle questioni in ballo.

4) No al pasticcetto Boschi perché… le Costituzioni sono fatte per durare non sono come certi abitini prêt-à-porter. “Apre un cantiere di modifiche costituzionali, elettorali e regolamentari, destinato a rimanere aperto per anni” scrivono Giorgio La Malfa e Massimo Andolfi sul Fatto e in questo senso il povero Gustavo Zalgrebelski è disorientato dall’atteggiamento del suo antico compagno di merende Eugenio Scalfari che non capisce la differenza tra convergenze costituenti e convergenze politiche: “L’argomento della cattiva compagnia avrebbe valore solo se si credesse che i due schieramenti referendari debbano essere le prefigurazioni di una futura formula di governo”. La verità è che la logica – per così dire – dell’aggiornamento di un terzo della Costituzione è quella del cambiamento del regolamento di un quartiere di Rignano o al massimo della revisione delle procedure per selezionare – su suggerimento di JP Morgan – un consiglio d’amministrazione di una banca. Le Costituzioni sono fatte per durare, devono avere un impianto solido, se si deve cambiarne una che era eccessivamente condizionata dalla stagione della Guerra Fredda, bisogna cambiarla con visione non sotto lo slogan “Ce lo chiede Bruxelles” (copyright la titolare del pasticcetto) o un herrariano (citare Helenio Herrera rivela la mia età) “movimiento, movimiento”.

5) No al pasticcetto Boschi perché… i risparmi trascurabili assicurati non sono comparabili ai guasti del metodo peronista favorito dalla cosiddetta riforma. “Non si modifica più di un terzo della Costituzione per risparmiare” dice Anna Falcone al Corriere della Sera. Personalmente sopporto poco gli indignati, ho molta più fiducia nel Cristo che nel Vangelo dice “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. Però non posso non provare tutta la mia solidarietà per la povera Falcone quando le si è alzato un sopracciglio mentre sentiva dire dal nostro Juan Domigo Renzòn che la riforma della Costituzione serviva a tagliare i costi dello Stato: forse pur con tutte quelle che ha combinato, neanche il suo modello originale argentino sarebbe arrivato a tanto. E questo, quanto all’aspetto dello “stile”. Sulla sostanza va osservato che se eleggere direttamente un sindaco ti fa risparmiare un sacco di euro da mancate crisi, se poi consenti al suddetto sindaco di impicciarsi senza controlli (metti in una banchetta popolare del circondario), lo Stato spende in salvataggi e danni dieci volte quel che guadagnato. Così risparmi da crisi comunali. Il pasticcetto Boschi sulle nuove competenze del Senato e delle Regioni e sulle garanzie per l’opposizione è così vago da consentire a Fabio Rampelli di scrivere in modo credibile sul Sole 24 Ore che “Il nuovo senato si trasformerà in una camera di compensazione di azioni clientelari e campanilistiche”. Se il pasticcetto passerà (ma domani lo potete fermare con un deciso No) puzzerà di quelle fritture di pesce distribuite per portargli i Sì necessari. E man mano che procederà l’applicazione del “pasticcetto” la puzza di frittura aumenterà.

6) No al pasticcetto Boschi perché… il Senato che verrà fuori sarà uno specifico pasticcio dentro il pasticcetto generale. “Non essere riusciti a dare un ruolo costituzionale alla seconda Camera” dice Geatano Azzariti alla Repubblica. “Quanto alla scelta dei consiglieri non risponde a nessuna qualificazione oggettiva” dice Ugo de Servio anche lui alla Repubblica. “Un consigliere regionale è espressione di un territorio limitato e infraregionale, cui rimane legato per la sua carriera politica. Lo stesso vale per il sindaco-senatore. Avendo pochi senatori, ogni regione sarà rappresentata a macchia di leopardo. Pochi territori avranno voce nel Senato, e tutti gli altri non l’avranno. È la Camera dei localismi, non delle regioni” scrivono Massimo Villone, Domenico Gallo e Alfiero Grandi sul Fatto. “Il Senato non viene abrogato. Viene nominato dai consigli regionali, e continua ad avere funzioni legislative, benché in teoria più limitate. Ma il nuovo art. 70, che le elenca, è scritto in modo talmente complicato e contraddittorio che i maggiori giuristi ne hanno già dato cinque o sei interpretazioni tra loro incompatibili. È prevedibile un vero can can di ricorsi per ogni legge contestata, fino alla Corte Costituzionale. In tal modo il processo legislativo non solo non diventa più veloce ed efficiente ma rischia la paralisi” scrive Paolo Flores d’Arcais su Le Monde. “Per quanto concerne la struttura dell’organo si può rilevare che: a) il nuovo Senato non dispone di una continuità di funzionamento dal momento che la sua struttura si modifica ogni qualvolta si rinnovano i vari Consigli regionali; b) la sua composizione risulta non omogenea, tanto più per la bizzarra presenza dei cinque senatori di nomina presidenziale; c) i senatori, in quanto consiglieri regionali o sindaci, sono investiti di un doppio mandato non facile da esercitare e, per giunta, con un vincolo di gratuità per il mandato senatoriale (vincolo che riferito alla funzionalità di un organo costituzionale risulta molto discutibile); d) lo squilibrio strutturale tra Camera (con 630 membri) e Senato (con 100 membri) si riflette anche sul Parlamento in seduta comune – che conserva funzioni importanti come l’elezione del Capo dello Stato, la nomina di tre giudici costituzionali e di una parte dei membri del Csm – dove aumenta sensibilmente il peso politico della maggioranza presente alla Camera” scrive Enzo Cheli sul Sussidiario. Vecchi agitatori giustizialisti e posati costituzionalisti concordano sul fatto che il nuovo Senato è un pasticcio, non ha i caratteri lievi ma abbastanza precisi della camera delle autonomie francese (un po’ evanescente in uno Stato assai centralista) né è assimilabile al senato dei Laender tedesco (roba seria mica improvvisata). E’ una robaccia messa insieme con un “che cosa chiede di inserire quel deputato di Ncd?”, “che cosa vuole quel toscano della sinistra Pd?”, “come teniamo buono quel verdiniano di Caserta?” e così via. E voilà eccovi il nuovo Senato della Repubblica.

7) No al pasticcetto Boschi perché… non avere definito in Parlamento scelte e criteri per i sistemi elettorali è indice della cultura istituzionale dei riformatori-pasticceri. “Dare alla Corte un potere così grande senza scrivere in Costituzione, con parole chiare, principi ai quali le leggi elettorali debbano attenersi” scrive Giuseppe Ugo Rescigno sulla Repubblica. Ecco un altro dei tanti nostri più valenti giuristi disorientato per lo stile del pasticcetto. Qualche anno fa la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la riforma elettorale con cui erano stati eletti diversi parlamenti (la legge, non i parlamenti, è illegittima), fu una sentenza di cui non ho compreso bene alcune motivazioni, ma Consulta locuta ci si allinea. Non si è più riusciti a fare una nuova legge. Il nostro lupetto mannaro si è fatto una legge su misura, salvo poi Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti informarlo che correva il rischio di dare l’Italia in mano a Beppe Grillo, così ha farfugliato alcune altre indicazioni di cui scriverò, ma intanto nella nuova Costituzione ha fatto scrivere che vi sarà un vaglio preventivo di ogni nuova legge elettorale da parte dell’Alta Corte. Giustamente Rescigno trasecola: non poteva almeno precisare i criteri generali costituzionali di possibili pur differenziati ma legittimi sistemi elettorali? Il punto è che se consideri la Costituzione come il regolamento di una squadra di lupetti o di un quartiere di Rignano, dei principi non ti interessi. Usi cerotti: del tipo per contrastare la corruzione fate leggere prima le delibere a Raffaele Cantone. Il famoso Stato di post-diritto. La mancanza di principi è ancora più evidente nell’annunciare nuovi “sistemi elettorali” durante la campagna referendaria ora per ottenere il voto di Gianni Cuperlo e di due suoi amici, ora quello di Vannino Chiti. Quando non si considerava il Parlamento un’aula sordida e grigia si sarebbero almeno approvati criteri di indirizzo che correggessero l’approvato Italicum, ora si opera coi “foglietti” o con l’ancora più incredibile fac simile presentato a Palazzo Chigi (diventato una sorta di Disneyland)  di un sistema elettorale approvato da Renzi e Chiti (una sorta di commissione intertoscana). Tra i commenti sulla questione, ottimo quello di Stefano Schwarz: “Per capire come vengono eletti i senatori bisogna leggere due manuali e 4 saggi”.

8) No al pasticcetto Boschi perché… i contrappesi sono promessi ma non definiti. “Di statuto dell’opposizione si parla da una vita, era il momento di introdurlo, almeno con alcune disposizioni di principio. Invece l’articolo 64 promette soltanto il rinvio al regolamento” scrive  Roberto Zaccaria sulla Repubblica e su questo insiste sempre su quel giornale anche Claudio De Flores: “Ciò che si garantisce è innanzi tutto il potere normativo del governo”. Il Senato costituiva un bilanciamento forse un po’ rozzo e che funziona meglio in una Repubblica presidenziale (negli Stati Uniti c’è un bicameralismo perfetto come quello italiano e ne sono assai soddisfatti). Però era un “bilanciamento”, ora il sistema è stato sbilanciato, facendo anche una serie di pasticci sull’elezione del presidente della Repubblica (verrà eletto dai tre quinti come chiesto dalla sinistra Pd assai preoccupata dall’uso spregiudicato del potere da parte del nostro con le sue due anime classiche “il lupetto mannaro” e “don Matteo delle Mance”, ma saranno i tre quinti dei votanti non degli aventi diritto su proposta dell’ala verdiniana che già pregusta una vasta campagna di malattie e diserzioni dal voto per condizionare l’elezione dell’inquilino del Quirinale), ma soprattutto facendo sì che le norme sbilanciate vadano subito in atto e le riparazioni di garanzia siano affidate all’uomo che ha un vero record di promesse mantenute cioè il nostro Renzino.

9) No al pasticcetto Boschi perché… è divisivo e scritto male (e non far niente è meglio che fare una schifezza). “E’ un No anche per l’estetica” dice Paolo Prodi al Corriere della Sera. Come ha ben spiegato Valerio Onida una così invasiva riforma della Costituzione sarebbe stato bene che fosse  bella e condivisa. O se la situazione era d’emergenza almeno condivisa. O se si doveva proprio rompere era indispensabile che la nuova Costituzione fosse almeno bella come quella gollista.Il pasticcetto Boschi è scritto male, poco chiaro, confuso (esattamente un’offesa all’estetica come dice Paolo Prodi) e quanto all’unificazione del Paese lascio la parola a Stefano Fassina che sul Sole 24 ore scrive: “L’Italia non regge l’ulteriore divisione alimentata dal plebiscito giocato sul terreno costituzionale”. 

10) No al pasticcetto Boschi perché… è intimamente connesso a una politica avventurista. “È sicuro che la disinvoltura – diciamo l’azzardo – di Matteo Renzi sia stata evidentemente calcolata: il proposito di legittimare il suo governo attraverso tre eventi che sono diversi da un’elezione parlamentare. Ed ecco che abbiamo avuto la vittoria alle primarie del Pd, poi il voto europeo e ora il referendum. E le voci che suggeriscono le sue eventuali dimissioni in questa settimana confermano solo questa idea pokeristica del potere renziano” scrive Christian Raimo sull’Internazionale. “Trovo scandaloso che i pubblici poteri siano impegnati ad alimentare con ogni mezzo compresi quelli meno leciti una campagna di disinformazione e di falsità. La televisione in ogni ora del giorno e della notte è occupata da questo presidente del Consiglio il quale con tutti i problemi che ci sono non ha altro da fare che saltare da un programma all’altro o da un palco all’altro palco a far la sua propaganda e a propagandare se stesso. Più che un uomo di governo abbiamo un attore televisivo, oltre che uno studente bocciato dal suo professore di diritto costituzionale” scrive Aldo Tortorella su Nuova Atlantide. “Da mesi il Parlamento è bloccato in attesa del referendum”, scrive Massimo Franco sul Corriere della Sera. “Alla crisi fra classi dirigenti e cittadini, che serpeggia da anni nelle nostre democrazie, la ricetta che i governi propongono è quella di tentare di limitare le aree dello scontento, di stringere un cordone intorno al dissenso, usando il peso delle relazioni di classe, il peso degli interessi economici, la forza delle strutture pubbliche e, infine, a volte, anche la limitazione del ricorso al voto o, quando è il caso, al referendum, come in Inghilterra e, prima, in Grecia. Nel nome di una bandiera: la stabilità innanzitutto”, Luciana Annunziata su Huffington Post Italia. Alcune voci assai differenti che danno argomenti per un No che mentre liquida il pasticcetto Boschi dia anche un bel colpo alla politica avventuristica del lupetto mannaro (ci sarebbero ancora alcune decine di ragioni per il No al pasticcetto ma bisogna darsi dei limiti).