Referendum: 10 “distruzioni per l’uso” al giorno (venerdì 2 dicembre)
02 Dicembre 2016
Nuova puntata della nostra rubrica per dire NO al referendum e al pasticcio costituzionale Renzi-Boschi-Alfano-Verdini.
1) Sapienze istituzionali. “Non sapevo che fosse proibito” dice Flavio Briatore al Corriere della Sera. Beh, uno è un attivissimo imprenditore, un grande protagonista della vita mondana, una star mediatica, ed è anche distratto da una ragazza che non manca di farsi notare come Elisabetta Gregoraci. Non si può certo fargli una colpa se non sapeva che il voto sia segreto. E neanche se pensa che il pasticcetto Boschi sia addirittura una riforma e per di più utile al Paese.
2) Buoni accordi, pessimo peron-renzismo. “L’ultimo accordo per il rinnovo dei metalmeccanici con tutto il carico simbolico che riesce ancora a trascinare dietro, poi l’intesa dopo sette anni per i contratti pubblici” scrive Roberto Mania sulla Repubblica. Distinguiamo. Il contratto dei metalmeccanici (veramente buono) è anche un’operazione di autodifesa di Federmeccanica e della Fiom da Palazzo Chigi e dalla sua succursale gestita in viale Dell’Astronomia da Vincenzo Boccia. Quello dei lavoratori pubblici (sicuramente opportuno nei contenuti, imbarazzante per la fase in cui è siglato) è collegato a un indirizzo approvato dagli organismi dei sindacati degli statali di Cgil, Cisl e Uil che hanno deciso che d’ora in poi faranno contratti soltanto durante le campagne elettorali del lupetto mannaro.
3) Come scegliere il personale politico. “Abbiamo bisogno di non scegliere le persone attraverso un click” così la Repubblica riporta un’affermazione di Giorgio Napolitano. Niente click? Il personale di governo va rigorosamente selezionato solo su chiare ed esplicite indicazioni di Bruxelles e Berlino?
4) Quel famoso passo in avanti. “E’ un primo passo in avanti” dice Gian Felice Rocca sulla Repubblica parlando del pasticcetto Boschi. I teorici del “è un primo passo avanti” mi ricordano una vecchia barzelletta che circolava negli anni Settanta in Unione Sovietica. Recitava così. Il grande leader del partito si affaccia sulla Piazza Rossa e annuncia solennemente: “Il capitalismo ha portato l’umanità sull’orlo del baratro. Noi le faremo fare un passo in avanti”.
5) Uomini neri e imbroglioni veri. “Quanto erano belli gli ‘uomini neri’ di una volta. C’è sempre un nuovo ‘uomo nero’ che li soppianta” così osserva. Peppino Caldarola su Lettera 43, Un’annotazione acuta che parte da una considerazione giusta. Il metodo comunista, con dalle origini il suo imprinting militare, ha nella scelta – come consigliava Karl von Clausewitz – dell’isolamento e della liquidazione (in fasi pacifiche “simbolica”) del “nemico principale” una delle clausole fondamentali. Da qui certa propaganda del Pci contro il cancelliere austriaco De Gasperi, contro il macellaio Scelba, gli ubriaconi Einaudi e Saragat, il golpista Segni, Moro-Nenni servi Usa, il ladro Leone, il mafioso Andreotti, il pazzo Cossiga e via selezionando il nemico principale. Di questa serie non mi pare facesse parte De Mita (come invece sostiene Caldarola) considerato anche da Ingrao “un interlocutore” mentre vi trova posto sicuramente Craxi “pericoloso per la democrazia”. Contro il leader socialista si schiera però anche la Repubblica (d’altra parte Scalfari si inventava da tempo e da sé i suoi uomini neri, per esempio Cefis, che invece al Pci – via Mosca – non spiaceva del tutto) che diventa il vero nuovo “produttore di nemici principali” e, qualche anno dopo, il centro concreto e fondamentale della lotta al Cav. Inquadrare in questa tradizione la lotta al nostro lupetto mannaro (tra l’altro diventato “cocco della Repubblica”), paragonarlo, chessò, a un Craxi o a un Berlusconi mi pare una totale forzatura. Un certo clima di rigetto verso il nostro don Matteo delle Mance mi pare piuttosto sostanzialmente simile alla diffusa insofferenza (magari un po’ populistica come si dice oggi, popolare come si diceva un tempo) di ampi settori dell’elettorato americano per Hillary Clinton: un’imbrogliona, falsa, che ha fatto finta persino di distinguersi da un establishment finanziario che le ha dato oltre cinquecento milioni di dollari per la sua campagna elettorale.
6) Siamo la sinistra cioè siamo la destra. “In Occidente questa elettorato è noto sotto il nome di ‘maggioranza silenziosa’” Antonio Polito sul Corriere della Sera osserva come il fronte renzista per il Sì usi principalmente slogan di destra, “il salto nel buio” che fu dei monarchici nel 1946, l’evocazione della “maggioranza silenziosa” che fu prima di Charles de Gaulle e poi di Richard Nixon, “la paura dei mercati” spauracchio usato in ogni tempo contro le sinistre. Il cinico lupetto mannaro che con i suoi Jim Messina accompagna con queste trovate la sua parallela campagna di mance e ricatti, crede di essere furbissimo, in realtà il marasma simbolico prodotto da questa tattica, produce un’ulteriore disgregazione che travolgerà anche lui. Soprattutto se un bel No non gli imporrà una battuta d’arresto.
7) Lasciatela vigilare, non schieratela in politica. “A noi informazioni sbagliate, c’è una sentenza che lo dice” così Francesco Manacorda sulla Repubblica riporta voci di Bankitalia dopo alcuni proscioglimenti di dirigenti di Banca Etruria dall’accusa di false informazioni all’istituto di vigilanza. Via Nazionale è una formidabile istituzione italiana, ricca di grandi talenti, se magari non la si avesse tirata troppo dentro l’agone politico (anche recentemente diversi quotidiani hanno cercato di schierarla per il Sì), avrebbe potuto vigilare un po’ meglio.
8) Pezzi di democrazia, pezzi di burocrazia. “Stiamo tagliando pezzi di burocrazia non di democrazia” così Matteo Renzi dice al Foglio. Si allude, credo, a quell’inutile ludo cartaceo del cittadino elettore che con noia e fatica si sceglie ora un senatore ora il capo dell’amministrazione pubblica. Che bisogno c’è di tutta questa burocrazia? Hai un amichetto giornalista di destra, di centro o di sinistra ma comunque renzista, gli dici che cosa vuoi e il lupetto lo fa. Questa è democrazia e per di più non burocratica.
9) Ma non è un leon. “Il No al referendum è per la Casta” così il Corriere della Sera riporta una battuta di Matteo Renzi. Il termine Casta mi fa sempre venire dei ponfi rossi perché mi ricordo bene come nacque nel 2006 lanciato in simultanea dalla Confindustria montezemoliana e dal Corriere mielista per accomunare centrodestra troppo autonomo e centrosinistra prodiano poco efficace per gli interessi Fiat, e spiazzare così la politica rispetto ad altri poteri decisionali. Un’operazione devastante di destrutturazione della già malconcia democrazia italiana fatta sotto il segno di quel tradizionale sovversivismo delle classi dominanti già denunciato da Antonio Gramsci. Un colpo basso al legame élite – popolo che fu completato dal commissariamento della politica italiana dopo il 2011 facendo decollare così quella protesta senza radici storico-culturali e dunque debolmente alternativa che è il grillismo. Parlare di Casta in un certo modo e senza essere almeno un uomo del popolo incazzato per non pochi seri motivi, mi sa sempre di truffa. Se lo fa il nostro lupetto mannaro alla truffa si unisce il ridicolo. Come diceva quella famosa filastrocca? “Ha i denti da leon/ la coda di leon/ le zampe di leon/ ruggisce come il leon/ corre come il leon/ ma non è un leon”. La soluzione dell’indovinello-filastrocca era: è una leonessa. Nel caso di Renzi, lui non è un leon e non è un uomo della Casta perché è un ragazzo della Casta, cresciuto nella e di politica, e peraltro di quella particolare politica, intricata a banchette e bancone, tipica della Toscana.
10) Le meditazioni a Cascais di un vincitore “morale”. “L’ho già detto, scritto e lo ripeto anche in questa prestigiosa sede: che prevalgano i Sì o i No, in occasione dell’imminente referendum sulla riforma costituzionale, il vincitore della partita sarà comunque, e sempre, Matteo Renzi” così il sito Linkiesta raccoglie una dichiarazione di Giovanni Guzzetta. Credo che analoghe valutazioni fece Umberto II di Savoia il 3 giugno del 1946 dopo avere visto i voti del referendum: “Noi monarchici da soli abbiamo il 46 per cento, l’accozzaglia di democristiani, socialisti, azionisti, comunisti ha il 54, alla lunga torneremo centrali”. Ha poi avuto molto tempo a Cascais per meditare su queste considerazioni.