Renzi e il voto in Sicilia: la solitudine degli (ex) numeri primi
07 Novembre 2017
E ora? Cosa accadrà dopo il terremoto delle elezioni siciliane, quali sono le prospettive dei protagonisti della scena politica italiana? L’Italia è un paese di destra, dicono tanti commentatori – perlopiù con tono mesto essendo loro in grande maggioranza di sinistra – per giustificare lo smacco del Pd in Sicilia, e in genere i risultati degli ultimi appuntamenti elettorali, in cui il centrodestra unito ha vinto. E’ in parte vero: dal ’48 in avanti il nostro paese ha sempre optato per scelte moderate. Ma è anche il paese in cui si è radicato il più robusto partito comunista dell’occidente, il paese in cui l’onda sessantottina è durata più a lungo, in cui Tangentopoli ha spazzato via un’intera classe dirigente (tutti coloro che non gravitavano nell’orbita dell’ex Pci), e che, infine, ha dato fiducia al rottamatore Renzi, quando ha fatto irruzione, con piglio decisionista, sulla scena nazionale.
La Sicilia è sempre stata di destra, ripetono ancora i soliti commentatori. Però è dalla Sicilia che è partita l’onda grillina, ed è in Sicilia che Crocetta, sostenuto fino all’ultimo dal Pd, ha governato negli ultimi cinque anni. Qualcosa, dunque, non torna. Renzi, come peraltro Crocetta, ha avuto la sua occasione, e l’ha mancata. E questo nonostante le molte circostanze favorevoli di cui ha goduto: l’appoggio del Presidente della Repubblica, la ripresa economica europea, l’estrema debolezza del centrodestra per un lungo periodo, un alleato assai comodo (Alfano), che ha fatto passare tutto, senza mai rivendicare altro che qualche poltrona, una Forza Italia disposta all’accordo con il patto del Nazareno. E infine un abile manovratore (Verdini) che si è sempre adoperato per l’ascesa di Renzi, prima, e per la sua sopravvivenza poi; e continua a farlo, non solo con l’essenziale sostegno al governo in parlamento, ma lavorando per un’intesa futura con Berlusconi, dato che è evidente che con la nuova legge elettorale non ci sarà nessuna delle tre grandi forze in campo in grado di governare da sola.
Ma, come ha scritto Lucia Annunziata, “in Sicilia muore il Nazareno”. Non crediamo che a livello nazionale il Pd avrà risultati analoghi a quelli siciliani (il 13% circa), ma la perdita di capacità attrattiva di Renzi, la crisi in cui ha precipitato il suo partito, la difficoltà di costruire una coalizione credibile è ormai evidente. D’altra parte l’allenza con il fedele Alfano si è rivelata perdente per l’uno e per l’altro, con Alternativa Popolare che, nel feudo del proprio leader, non riesce nemmeno ad entrare nell’assemblea siciliana. Un Renzi isolato, incerto, che deve arroccarsi all’interno di un Pd pressoché inespugnabile perché ormai costruito a sua misura, che può contare con sicurezza solo sui collegi delle regioni rosse, avrà grossi problemi ad allearsi con il centrodestra. Il progetto prevedeva infatti un’alleanza a traino Pd, con un Renzi forte, che se anche non fosse il premier resterebbe comunque quello che detiene il pacchetto di maggioranza e dà le carte. Come può Renzi diventare l’Alfano di Forza Italia, rassegnarsi a un ruolo paritario o addirittura subalterno, in presenza di un’opposizione forte – sinistra e grillini – che lo macinerebbe?
Dunque la prospettiva esce assai indebolita dalle elezioni siciliane. Il voto di domenica fa capire anche con chiarezza che i 5stelle restano un’opzione di protesta, che non convince quando si propone come forza di governo, nonostante l’attenzione grillina a non disturbare gli elettori siciliani (vedi le cautele sull’abusivismo edilizio e sulle assunzioni pubbliche). Mentre la vittoria netta di Musumeci, che sfiora il 40% rende meno lontana l’ipotesi che il centrodestra unito davvero riesca a raggiungere la fatidica soglia e sia in grado di governare da solo.