Renzi, Grillo, Santanché. Il salto nel buio del voto anticipato
29 Settembre 2013
Tra le numerose crisi di governo a cui il nostro Paese ha assistito, questa del Governo Letta, per modalità e peculiarità, è senza dubbio la più originale. Senza una maggioranza al Senato e con un partito più che mai diviso, il Pd si trova ora, come forza di maggioranza relativa, a dover trovare una soluzione per evitare il ricorso anticipato alle urne. Frutto di un forzoso accordo tra due delle tre principali forze politiche nel panorama, questo esecutivo è apparso fin da subito assai debole per poter uscire indenne dai veti incrociati dei due maggiori azionisti, divisi a loro volta all’interno. Infatti, con le dimissioni imposte da Arcore dei cinque ministri del Pdl si apre, e giova rammentarlo, solo sostanzialmente e non formalmente, la crisi di governo più incerta della storia della “seconda repubblica”.
Non che l’abbandono dell’esecutivo di una nutrita pattuglia di ministri porti in automatico la caduta del governo: tutti ricordano come Giulio Andreotti, nel luglio del 1990, sostituì in blocco i ministri della sinistra dc Fracanzani, Mannino, Martinazzoli, Misasi e Mattarella nel giro di poche ore senza che si fosse resa necessaria un verifica formale in Parlamento. Ma qui le condizioni sono assai diverse e se sulla corta le soluzioni sono molteplici, alla fine, di soluzioni percorribili ne rimangono ben poche. La possibilità di un ricorso anticipato alle urne potrebbe essere la prima soluzione evocata da chi, per motivi diversi come Grillo, Renzi e il Pdl, punta a uno smottamento degli attuali equilibri parlamentari. Ma questa scappatoia e tutt’altro che priva di insidie. In pochi forse dimenticano (o fingono di dimenticarsene) che sciogliendo oggi le Camere i comizi elettorali potrebbero essere indetti non prima di 90 giorni, tra tempi tecnici e periodo di campagna elettorale. Una data che, paradossalmente, avrebbe avuto il compito di indicare il Ministro degli Interni che però è dimissionario.
Non solo. A dicembre la Corte Costituzionale si pronuncerà sulla legittimità del “Porcellum” e in caso (molto probabile) di bocciatura del contestatissimo premio di maggioranza bisognerà tornare in Parlamento (sciolto) per ridiscutere su una nuova legge elettorale. Con quale spirito le forze politiche, che sarebbero già in campagna elettorale, potrebbero trovare un accordo è un legittimo dubbio che difficilmente troverà una risposta. E a ciò si aggiunga che il Ministero degli Interni, in caso di nuova legge elettorale, dovrà a sua volta lavorare per mesi per la definizione delle circoscrizioni elettorali. Nel frattempo è molto probabile, se non certo, che la contestatissima decadenza prescritta dalla legge Severino sia superata nei fatti dalla sentenza della Corte d’Appello di Milano che, con il rinvio della Corte di Cassazione, ha il compito di rideterminare l’interdizione dai pubblici uffici per Silvio Berlusconi. Il Pdl si presenterebbe dunque alle elezioni senza il suo leader che, oltre a non essere candidabile, non potrà neanche fare campagna elettorale in quanto in affidamento ai servizi sociali. Non proprio una strategia lungimirante per chi credeva che una accelerazione di questo tipo avrebbe potuto giovare alla neorinata Forza Italia. Mentre nel ’94 il suo primo atto da partito fu quello di andare al governo, stavolta, come primo atto si è scelto l’andarsene via. E il percorso per tornarci, vista la strategia adottata, è tutt’altro che agevole.