Renzi, la “manovrina” e le nomine dei manager pubblici

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Renzi, la “manovrina” e le nomine dei manager pubblici

21 Marzo 2017

Adesso tutto è più chiaro. Dietro alle bizze e ai diktat di Renzi indirizzati al governo in vista della manovra aggiuntiva, da sempre indigesta all’ex premier, la posta in gioco era ben altra: la partita delle nomine dei vertici delle società partecipate dello Stato, dove l’ex premier voleva giocare un ruolo chiave, come se fosse ancora lui alla guida di Palazzo Chigi. E, dopo l’ennesimo braccio di ferro con Padoan, la partita l’ha vinta Renzi.

L’impronta renziana sulle nuove nomine è, infatti, sin troppo evidente. Il caso più eclatante è quello del fiorentino Matteo Del Fante, nuovo ad di Poste Italiane e vecchia conoscenza di Renzi, che rimpiazza Francesco Caio, l’uomo che ha triplicato gli utili dell’azienda, ma che ha avuto la “colpa” di aver fatto qualche sgarbo all’ex premier, oltre che essere vicino al mondo di Enrico Letta.

Il mancato acquisto di Pioneer, con il trasferimento di un pezzo del risparmio italiano nelle mani francesi di Amundi, ma anche (e soprattutto) il no ad un intervento nel salvataggio del Monte Paschi, non sono andati giù a Renzi. Marchio fiorentino anche nel Cda di Enel, dove rimane Alberto Bianchi, il tesoriere della renziana Fondazione Open, e in quello di Leonardo, dove è riconfermato Fabrizio Landi, con l’ex banchiere Alessandro Profumo, gradito a Renzi ma anche al governo, nominato ad.

Per Eni ed Enel, le società più importanti, nessun cambio al vertice per i buoni risultati delle due aziende ma soprattutto perché gli attuali dirigenti sono “congeniali” all’ex premier, dato che è stato lui stesso a sceglierli tre anni fa. Unico caso dove pare che Renzi abbia dovuto fare un passo indietro è la nomina di Luigi Ferraris alla guida di Terna. Il duo Renzi-Boschi spingeva, infatti, per Alberto Irace, amministratore delegato di Acea ed ex Publiacqua, la municipalizzata di Firenze. Ma Irace, pur essendo manager stimatissimo, non è laureato. Allora, per non aprire un nuovo caso mediatico come è successo per la ministra Fedeli, l’ex premier ha dato il suo assenso a Ferraris, voluto fortemente da Padoan.

Dunque, ora si spiega perché l’ex segretario Pd faceva la voce grossa criticando il possibile aumento delle accise, dell’Iva e il taglio del cuneo fiscale, misure prospettate dal governo per evitare la procedura di infrazione Ue. Apparentemente non aveva tanto senso continuare a gettare fango sulla “manovrina” considerata da tutti  “necessaria” e “indispensabile” (come l’ha definita ultimamente il governatore di Bankitalia Visco) e, per giunta, il cui il principale responsabile è proprio l’ex premier, dato che con il suo governo il debito pubblico ha continuato a salire.

Renzi, invece, aveva una strategia chiara: mettere gli uomini giusti (i suoi) nei posti giusti per continuare a tessere la sua rete di potere ed evitare, così, di restare isolato a livello politico e istituzionale. Ma la partita delle nomine era anche un occasione ghiotta per riprendere dalla giacchetta il “povero” Gentiloni che, nelle settimane precedenti, ha provato in tutti i modi a smarcarsi da Renzi per perseguire la sua mission ovvero “tenere il governo al riparo da tensioni”. Così Renzi ha alzato i toni per far arrivare al premier un minaccioso messaggio in codice che doveva suonare più o meno così: caro Paolo, hai detto che vuoi tenere il governo al riparo da tensioni? Allora fai quello che ti dico io.

Conclusione: Gentiloni e Padoan hanno dovuto cedere sulle nomine, venendo ricompensati dall’ex segretario Dem con un assordante “silenzio” sulle questioni economiche in occasione della kermesse del Lingotto e con un secco “no comment” sulla vicenda dei voucher. Insomma, Renzi è tornato (o semplicemente non ha mai smesso) a fare il “bullo”, forte dei sondaggi che lo danno saldamente in testa per la ri-conquista della segreteria Dem. Gentiloni, invece, è rimasto prigioniero del ruolo da “pacificatore” che lui stesso ha inteso cucirsi addosso. Ruolo che, se mal interpretato – della serie “accontentiamo tutti” (vedi Renzi, Mpd, Cgil sui voucher…) – , può costargli molto caro.