Renzi, le fake-news e il complotto catto-russo-grillo-leghista
27 Novembre 2017
Se Renzi spera di rilanciare il Pd in crisi di consensi con una campagna elettorale basata sull’allarme fake-news, magari chiamando in aiuto il sempre obamiano New York Times, farà un altro buco nell’acqua. Può darsi che si tratti di una fiammata transitoria, come tante a cui il leader di Rignano sull’Arno ci ha abituato: si parte in quarta, per frenare dopo pochi metri, quando diventa chiaro che nessuno segue. Oggi però tutte le prime pagine dei giornaloni sono piene di pseudo-rivelazioni su losche trame e intrecci web tra leghisti, grillini, hacker russi, e, senti senti, “un’associazione cattolica assai riservata, La Luce di Maria”, come scrive La Stampa, indicando proprio nella pericolosissima Luce di Maria il cuore di un “vasto network di disinformazione”, che metterebbe a rischio la trasparenza e la correttezza della prossima campagna elettorale. E’ possibile, dunque, che Renzi davvero intenda presentarsi come vittima di oscuri complotti catto-russo-grillo-leghisti, o intenda almeno usare l’argomento per giustificare risultati poco brillanti nelle urne.
Sul Fatto quotidiano Marco Travaglio racconta come l’esperto che viene considerato l’ispiratore della denuncia, tale Stroppa, oggi sia vicino a Marco Carrai, il rampante finanziere renziano, ma ieri fosse, giovanissimo, uno degli hacker di Anonymous che attaccava i siti italiani istituzionali (polizia, carabinieri, governo, ecc) e che per questo si sia beccato una condanna e poi il perdono giudiziale dal Tribunale dei minori.
Ma la cosa più inquietante non sono i ridicoli casi di fake che vengono sventolati a mo’ di esempio, come il funerale di Riina a cui avrebbero partecipato autorità e membri del governo, Boschi e Boldrini in primo luogo. Come ha giustamente sottolineato Fausto Carioti su Libero, se un lettore è disposto a credere che alle esequie (peraltro mai svolte) di un capo mafioso che ha finito i suoi giorni da detenuto in regime di 41 bis, partecipino alte cariche dello stato, non è recuperabile a un dibattito normale, o non vuole esserlo. E nemmeno è inquietante che il New York Times si sia prestato al giochetto: troppe ne abbiamo viste, in tempi di presidenziali americane e dopo, dal grande giornale liberal che ormai, dagli elettori di Trump, viene soprannominato “American Pravda”.
La cosa più inquietante sono i propositi di censura, le proposte di legge per imbavagliare il web e “responsabilizzare i gestori di social network”. Già oggi gli esempi di censura da parte di Facebook e compagnia non si contano, e noi dell’Occidentale ne sappiamo qualcosa; una legge che consenta di eliminare tutto quello che non viene considerato (da chi?) politicamente corretto, sarebbe davvero la fine di uno spazio di libertà di espressione che è sotto continuo attacco.
Un’ultima considerazione: l’equivoco tragico in cui si crogiola Renzi è che la politica sia soltanto comunicazione. I contenuti hanno un’importanza relativa: si vince e si perde sulla modalità con cui qualunque contenuto viene trasmesso all’elettorato, non sulla sostanza, dunque, ma sulla confezione, e sulla capacità di penetrazione. Nonostante le mille prove già avute dell’errore insito in questa idea, Renzi continua a credere che occupando pervasivamente le televisioni, i giornali, il web, affidandosi alla personale capacità affabulatoria e ai maghi della comunicazione politica, trovando lo slogan giusto, la parola d’ordine efficace, l’immagine che colpisce, si vince. Neppure i soldi buttati con il famoso Jim Messina e la batosta presa al referendum lo hanno convinto del contrario. Ed è questa la migliore garanzia per i suoi avversari. Perché la democrazia è fatta di meccanismi delicati ma non così facilmente condizionabili, ha in sé i suoi antidoti spontanei alla manipolazione, e gli elettori non sono stupidi e non si bevono le fake news neanche se a raccontarle è Renzi.