Renzi prova a risorgere ma il Fmi lo sotterra di nuovo: debito alle stelle e crescita zero!
20 Aprile 2018
di Carlo Mascio
Aveva detto che sarebbe stato in silenzio almeno per due anni. E invece il solito Matteo Renzi è tornato a parlare proprio nel giorno, ieri, in cui si è registrato il fallimento del secondo tentativo tra centrodestra e M5S di dare vita al nuovo governo. “Noi nel 2014 non avevamo tempo e in 45 giorni – gli stessi che ci separano dal 4 marzo – avevamo già fatto 80 euro e tetto ai dirigenti pubblici. E con le riforme formare un governo ora sarebbe stato più facile”. Per poi chiosare con il solito mantra da boy scout: “Abbiamo lasciato un Paese migliore di come lo abbiamo trovato”.
Parole che somigliano tanto ad un primo, timido, tentativo di riabilitazione politica. Come a dire: in fondo non ero poi così male. D’altronde se dovessero fallire i tentativi governativi tra centrodestra e 5 Stelle, la politica renziana del “tocca a loro” verrebbe meno e si aprirebbero nuovi scenari. Per cui, farsi trovare lucidati a nuovo, non è mica cosa da poco.
Peccato però che sono bastati i dati diffusi qualche giorno fa dal Fondo Monetario Internazionale per ricordare a tutti (come se ce ne fosse bisogno) che non stiamo poi così messi tanto bene grazie anche e soprattutto alle politiche renziane.
“Avete un debito pubblico pazzesco / con Renzi è cresciuto a dismisura / crescete poco / rimanete anche l’anno prossimo fanalino di coda dell’Eurozona / dovete aumentare le tasse!”. Il ritornello dell’Fmi è sempre lo stesso. Questa volta ha chiesto all’Italia di spostare il peso del fisco dai fattori produttivi alle rendite. In pratica, per ridurre il debito pubblico, considerato un enorme fattore di instabilità, avere meno tasse sul lavoro e un maggiore sostegno alle fasce deboli risulta necessario aumentare le imposte, colpendo nuovamente “ricchezze, immobili e consumi“. E magari aggiungendo anche una patrimoniale.
E poco importa se l’Italia negli ultimi anni ha subìto un aumento dell’imposizione patrimoniale sugli immobili senza precedenti, passando dai 9 miliardi agli attuali 21 di Imu e Tasi, contribuendo in questo modo al crollo dei valori immobiliari. Tanto che, secondo il “Tax policy reforms 2017” redatto dall’Ocse nel settembre scorso, il nostro Paese, insieme ad Argentina, Belgio, Turchia, Ungheria e Sud Africa, è fra le nazioni dove le imposte sulla casa hanno fatto registrare “incrementi significativi” fra il 2000 e il 2015 in relazione al valore complessivo del Pil. Così come è evidente a tutti che, come si legge nell’ultimo rapporto della Cgia di Mestre, con tasse record e una spesa sociale tra le più basse d’Europa, in Italia il rischio povertà o di esclusione sociale abbia raggiunto livelli di guardia molto preoccupanti.
Niente da fare, il giudizio non cambia. In pratica, è evidente a tutti che gli italiani siano tartassati sulla casa. Pressione fiscale che, quindi, non è più sostenibile. In virtù di ciò, un governo che voglia veramente rilanciare l’economia dovrebbe tutelare le famiglie che hanno investito i risparmi nel mattone, dato che circa l’80% dei nostri concittadini possiede un’abitazione essendo questa la prima scelta del risparmiatore italiano.
Invece, niente da fare. Se oggi ci dicono “basta debito!” è anche perché i famosi 80 euro, lungi dal risollevare i consumi, hanno finito per aumentare solo la spesa pubblica. E se questa aumenta, crescono le tasse. Semplice, no? Per questo l’invito dell’Fmi è sempre lo stesso: tassate, mettete una tassa sul patrimonio! Ma questa, checché ne dica anche una parte della sinistra che in tempi non sospetti aveva provato ad introdurla, di fatto c’è già: tutte le tasse che gli italiani devono già pagare su case e immobili non valgono forse una patrimoniale?
Ecco perché Renzi può stare “sereno” e continuare la politica dell’isolamento iniziata dal 4 marzo in poi. Questa è l’unica sua politica che all’Italia farà sicuramente bene.