“Renzi vincerà le Primarie ma il Pd rischia la scissione”
24 Settembre 2013
Massimo Cacciari, filosofo, ex sindaco di Venezia, da sempre voce critica del mondo democratico, guarda agli ultimi sviluppi dello scontro precongressuale a largo del Nazareno con fare distaccato. «È un dramma quel che si profila nel PD», aveva tuonato nel novembre del 2009, prima di annunciare il definitivo abbandono della politica attiva e dell’impegno organizzativo in un partito nel quale faceva troppa fatica a riconoscersi. «Il tempo mi ha dato ragione e oggi credo di poterlo dire», spiega al telefono con l’Occidentale: «Ho fatto forse l’unica scelta giusta della mia vita».
Professore, sabato scorso l’Assemblea nazionale ha fatto registrare l’ennesimo triste spettacolo in casa democratica…
«Il PD è un partito che deve ancora trovare una sua organizzazione, fatica a trovare una leadership riconosciuta, è diviso al suo interno da spaccature di carattere culturale, strategico e non soltanto tattico, che non si sono in questi anni adeguatamente affrontate. Era inevitabile dunque lo spettacolo di questi ultimi mesi, partendo dall’elezione del presidente della Repubblica e arrivando fino ai preparativi congressuali. Questa conseguenza ovvia deriva dal fatto che non si è mai aperto, sin dal momento fondativo, un vero dibattito sulle questioni strategiche: purtroppo anche il PD è stato contaminato dal berlusconismo imperante, per cui si crede che la ricerca del leader risolva ogni problema».
È giusto a suo giudizio eliminare l’automatismo tra leadership di partito e premiership?
«Si tratta di questioni del tutto secondarie, dibattiti inutili ad esclusivo uso interno, che si spiegano soltanto con il fatto che vi è una forte concorrenza sulla premiership. È evidente che in ogni democrazia il capo del partito è colui che guida il governo, è così ovunque. Lei mi saprebbe dire chi è il segretario dei democristiani tedeschi ? O il segretario dei democratici americani ? Chi è il segretario dei socialisti francesi ? Il capo è la Merkel, Obama, Hollande, leader che guidano i rispettivi paesi».
Renzi e Cuperlo sono al momento i principali contendenti alla segreteria. Ci aiuta a comprendere quali sono le loro piattaforme programmatiche ?
« È difficile dirlo proprio perché il Partito Democratico, e prima di esso, in parte, anche le coalizioni dell’Ulivo e tutte le successive evoluzioni, sono state dominate da questa frenetica ricerca del leader da contrapporre a Berlusconi: ciò ha disfatto l’organizzazione del partito e lo stesso dibattito al suo interno. Speriamo che nel corso del confronto congressuale emergano con qualche chiarezza le posizioni dell’uno e dell’altro. Per il momento si può soltanto indurre la storia politico-culturale completamente diversa dei due. Cuperlo è un prodotto tipico del post comunismo, del blocco dalemiano, con tutti i pregi e difetti di questo stesso blocco: certamente capacità organizzative, una preparazione politica di base; tuttavia egli è un esponente di quella generazione di funzionari e dirigenti politici prodotta attraverso meccanismi di pura cooptazione, di pura fedeltà al capo. Renzi, dal canto suo, è una grande incognita: di sicuro si è fatto da sé, lottando contro le burocrazie e i dirigenti, ma quale sia la sua preparazione di base, quali i fondamentali politici, quali le sue capacità di essere anche uomo di governo, vallo a sapere. Renzi è sicuramente una grande risorsa per il PD, e può anche darsi che si dimostri all’altezza delle situazioni; quella di sindaco, del resto, è un’esperienza formativa, che nessuno dei giovani o meno giovani dirigenti del Partito Democratico, da Cuperlo a Letta a Franceschini, ha fatto. Per il momento, però, il primo cittadino di Firenze gioca tutto sull’immagine, anche con grandi rischi di esaurimento: non può certo pensare di andare avanti per tanti mesi inseguendo appunto l’immagine del giovane rottamatore».
Professor Cacciari, quella del Pd è davvero la storia di un partito mai nato ? Lei ha usato spesso termini perentori, parlando anche di «dramma politico». Quali sono stati gli errori del gruppo dirigente in questi anni ?
«Personalmente ho cercato di collaborare alla nascita di un Partito Democratico che si concretizzasse in quello che io e pochissimi altri avevamo in mente, qualcosa cioè che non fosse la somma delle rispettive appartenenze, che non fosse tutto collegato alle vicende del berlusconismo, ma che giocasse autonomamente su prospettive lunghe, con parole e strategie nuove sul piano interno e sullo scenario internazionale, con riferimento ad esempio alla globalizzazione o all’Europa. Purtroppo, così non è stato. Più che di errori, io parlerei di deficienze organiche e di deficienze culturali di fondo di un gruppo dirigente che non aveva altro da spendere se non appunto le sue appartenenze. Com’era facile prevedere, la sommatoria di queste provenienze è rimasta tale, non ha dato novità, non ha dato sintesi, non ha fornito prospettive. Di fatto si è squilibrata tutta nel fronte ex comunista, ed in mancanza di vera sintesi hanno finito con il prevalere le componenti con maggiore capacità organizzativa, con maggiore storia, tenuta e militanza, anche con maggiori soldi. I veri errori, gravissimi ed imperdonabili per un leader politico, li ha commessi Veltroni, forse l’unico dirigente della vecchia guardia che avesse in mente un partito nuovo, nel momento in cui, dopo il discorso al Lingotto di Torino, invece di puntare alla costituzione del partito egli si è messo in testa di avere qualche carta da giocare contro Berlusconi. L’ex sindaco di Roma ha portato al pasticciaccio orrendo dell’alleanza con Di Pietro ed in seguito ne è scaturito un ulteriore errore, quello della lettura del voto del 2008 come di una sconfitta; il che non era assolutamente vero, se non altro in termini di consenso elettorale raccolto».
Dopo le contraddizioni e le turbolenze post elezioni, lei ha accennato ad una ipotesi di scissione. Ne è ancora convinto?
«Credo che questo scenario sia inevitabile, occorre solo capire in che forme ciò avverrà. Certamente, fino a quando rimarrà in carica l’attuale governo e vi sarà la prospettiva di elezioni più o meno ravvicinate, non penso si possa giungere ad una scissione: in politica come altrove vale il “primum vivere”. Ma non vedo francamente prospettive diverse. Il punto è questo: Renzi vincerà le primarie, quindi dovrà sobbarcarsi la direzione del partito con un’opposizione interna che sarà fortissima soprattutto dal punto di vista finanziario. Il sindaco di Firenze riuscirà a mettere tutti d’accordo? Questo è un pericolo per lui, perché in tal caso dovrà fare dei compromessi e inevitabilmente perderà l’immagine dell’innovatore; al contrario, se Renzi dovesse davvero vestire i panni del rottamatore, se ne andrebbe via tutta la vecchia guardia. Com’è possibile che alla lunga il Partito Democratico regga a queste pressioni?».
Dopo l’Assemblea nazionale del Pd, la poltrona di Enrico Letta è più traballante?
«Matteo Renzi non può giocare esplicitamente contro il presidente del Consiglio, perché ciò equivarrebbe al suo suicidio politico; ma nello stesso tempo è altrettanto evidente che lui ha tutto l’interesse che si vada il più rapidamente possibile a votare. Sono meccanismi fisiologici in una situazione di inesistenza di partiti politici degni di questo nome. Dopo vent’anni da Tangentopoli, mi permetta di dire che siamo col culo per terra».
Cosa vuol dire oggi essere «di sinistra»?
«Ho sempre cercato di spiegare urbi et orbi che non ha alcun senso. Da deputato del Partito comunista scrissi diversi saggi in polemica anche con Bobbio, in cui spiegavo che si trattava di terminologie novecentesche a cui non corrispondeva più alcunché. Cosa vuole che le dica? Va bene così, viviamo in un paese dove ci sono ancora gli ex comunisti e Berlusconi, e quindi è inesorabile inseguire questo linguaggio».