Renzi vuol fare il Macron ma (forse) è bollito come Hollande
14 Novembre 2017
Ma che stai a dì, Renzino nostro? “Alle elezioni, se il Pd fa il Pd e smette di litigare al proprio interno, possiamo raggiungere, insieme ai nostri compagni di viaggio, la percentuale che abbiamo preso nelle due volte in cui io ho guidato la campagna elettorale: il 40%, raggiunto sia alle europee che al referendum“. Così ha detto Matteo Renzi a Rai news il 7 novembre. “Dai territori i nostri mi hanno mandato un sacco di messaggini per dirmi bravissimo” così ha detto ancora Renzi alla Stampa del 9 novembre. “Avessero passato il proprio tempo leggendo meglio i documenti dei loro colleghi anziché parlando coi giornalisti per raccontare discutibili retroscena” ha scritto in una lettera alla Stampa del 12 novembre (lui così disattento alle chiacchiere dei giornali) sempre il quarantenne politico di Rignano. “I barbari sono alle porte” ancora lui alla Repubblica del 7 novembre (e a Roma gli hanno ricordato la famosa pasquinata: “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini” con Renzino nostro nel ruolo di Urbano VIII). Anche la stampa un tempo tanto amica ha difficoltà a “coprirlo” e ne trasmette le contraddizioni. Così un titolo della Repubblica del 14 novembre “Il leader del Pd stringe il patto con Bonino, ma difende Minniti: i risultati ci sono” (un titolo che spiega come Matteuccio stia con Bonino e Minniti che dicono cose opposte) e lo stesso giorno un titolo del Corriere della Sera “Coalizione ampia Renzi ricompatta i democratici (a parte Orlando)”. Insomma un’unanimità meno il 20%. Come mai un tipo sveglio come l’ex premier si comporta in questo modo così autolesionista? Non si rende conto che fare lo sbruffone in queste condizioni lo copra di ridicolo? Se anche una persona prudente come Massimo Franco sostanzialmente lo sbeffeggia dicendo che nel Pd “I più ottimisti sostengono che la situazione è in bilico” così sul Corriere della Serra dell’11 novembre, se sempre con tono di presa in giro parla di lui Dario Franceschini: “nessuno mette in discussione la leadership del segretario” (Repubblica 7 novembre) , se uno dei termometri più sensibili dell’opportunismo italiano, Romano Prodi, è “deciso a tenere la sua tenda lontana dal partito” (Angela Mauro Huffington Post Italia 9 novembre), se persino Mario Calabresi si mette a dare zampate: “Stiamo assistendo a uno spettacolo che non conquista i cuori e nemmeno le menti” (Repubblica 8 novembre). Se in questo clima generale si spiega a Tommaso Ciriaco che il rignanese pensa a “un pd stile Macron” (Repubblica 8 novembre), si finisce a essere infilzati persino da Miguel Gotor che con molta ragionevolezza dice alla Stampa del 9 novembre: “E’ un errore di fondo, dopo aver governato per tre anni. Non si possono sempre fare tutte le parti in commedia”. Non ci si può presentare come un Macron quando si è bolliti come un Hollande, pur avendo per età venti anni di meno.
Ma che stai a sussurà, Angelinuccio loro? “Siamo il centro del sistema politico italiano” così Francesco Gnagni riporta su Formiche dell’11 novembre una dichiarazione di Angelino Alfano. “Non abbiamo tradito né cambiato partito” dice ancora Alfano alla Repubblica del 12 novembre, sostenendo con piglio antigalileaiano: “eppur non ci siamo mossi”. Il Fatto del 6 novembre poi raccoglie un’altra affermazione del ministro degli Esteri: “La coalizione di liste a sostegno di Micari ha avuto comunque un risultato dignitoso. Dentro questa coalizione noi abbiamo fatto la nostra parte e, nonostante ci amareggerebbe non entrare all’Ars, rileviamo che la percentuale siciliana è superiore alla soglia di sbarramento nazionale che è del 3%, a differenza di quella regionale che è del 5%”. Le dichiarazioni di questi giorni di Renzi mostrano ancora tanta iattanza, invece l’agrigentino manifesta solo un’aria di sommessa disperazione. Chissà se c’entrano le diverse scuole democristiane che i due hanno frequentato: quella irascibile fanfaniana e quella gattopardesca di certo scudo crociato siciliano (non quello sturziano per capirsi). Un’altra ipotesi si può leggere nelle parole di Maurizio Lupi sul Corriere della Sera del 13/11: “Non è un partito personale”. Il partito di cui è padre-padrone Angelino non potrebbe essere catalogato come partito personale perché sarebbe invece espressione di un raro fenomeno di culto dell’impersonalità.
Grazie, Weinstein. “Ce parti qui est le mien – et je le dis avec tristesse – mais c’est comme ça, n’a pas su accompagner la mondialisation, se transformer quand le monde se transformait et donc il est temps qu’il disparaisse” . La Stazione radio RTL info il 5 novembre riporta questa frase di Dominique Strauss-Kahn sul partito socialista francese: “è il mio e quel che dico lo dico con tristezza: non ha saputo accompagnare i processi globalizzazione, trasformarsi quando si trasformava il mondo ed è dunque tempo che scompaia”. L’apparizione del “mostro” Harvey Weinstein ha ridimensionato fortemente l’immagine di mostro di Strauss-Kahn che può così ricominciare a dire quelle cose intelligenti (anche quando in parte non le condivido perché secondo me i socialisti devono tornare a fare i socialisti) che – almeno quando riusciva a tenere la patta chiusa – abitualmente diceva.
Qui Radio Berlino! Qui Radio Berlino! “This week the chancellor set a deadline of next thursday to decide whether they can make a government work” scrive Melissa Eddy sul New York Times dell’8 ottobre che la Merkel ha dato tempo fino a giovedì a Verdi e liberali per decidere se vogliono fare un governo che, sempre secondo, la Eddy viene ormai definito popolarmente come “The Rocky horror jamaica show”. Su come analizzare sui destini della Germania pare di essere tornati ai tempi di Radio Londra quando per sapere qualcosa che si avvicinasse alla verità, bisognava farsi informare dalle voci provenienti dall’anglosfera.