Renzi vuole la commissione di inchiesta: “Io ho una banca, ma anche tu”
09 Marzo 2017
di Carlo Mascio
Renzi è in difficoltà. L’inchiesta Consip che ha coinvolto papà Tiziano e il braccio destro Lotti ha certificato il momento no e la debolezza politica dell’ex premier, figlia della sconfitta referendaria del 4 dicembre e della scissione interna al Partito Democratico. Ecco perché l’ex rottamatore ha necessità di rifarsi un immagine. E, alla vigilia del Lingotto, da dove darà il via alla sua campagna per le primarie, Renzi torna a farsi vivo vestendo i panni del dispensatore di ricette in campo economico.
È stato così l’altra sera dal salotto di Porta a Porta, dove, pur dicendo che “con Paolo [Gentiloni] è difficile litigare” non ha mancato di dire il suo secco “no” al possibile aumento dell’Iva, attribuendo il copyright dell’idea ai “tecnici” (uno su tutti Padoan), esprimere dubbi sul taglio al cuneo fiscale, e dirsi convinto che le risorse si possono trovare senza far scattare clausole di salvaguardia o aumentare le accise. Salvo poi non dire, in pratica, dove trovarle. Tuttavia, la vaghezza dell’ex premier è il chiaro sentore che, in verità, il messaggio in codice, è un altro e tutto squisitamente politico: “Paolo sarai pure mio amico ma ricordati che comando io”, che poi e’ la solita arroganza renziana.
Renzi ha notato, infatti, che, dopo il caso Consip, molti di quelli che lo avevano appoggiato, negli ultimi giorni hanno iniziato (o hanno provato) a smarcarsi. È stato proprio Gentiloni che a Domenica In finalmente è riuscito a dire, per la prima volta senza nicchiare, che il suo “non è un governo provvisorio” e che “arriverà alla fine della legislatura”, ipotesi che, come sappiamo, Renzi ha tenuto in bilico finchè ha potuto. Così come l’ex premier avrà notato che Orlando ha iniziato a fare incetta di endorsement anche da interlocutori eccellenti del renzismo come Giorgio Napolitano oppure da chi al renzismo deve la sua notorietà come Monica Cirinnà, divenuta celebre solo per essere stata la relatrice della famosa legge sulle unioni civili, passata perché avallata da Renzi.
Ecco perché, per paura di un isolamento politico, l’ex segretario Dem è passato al contrattacco. E, prima ancora di Porta a Porta, aveva lanciato il suo nuovo cavallo di battaglia dalle colonne del Sole 24 ore: la commissione d’inchiesta sulle banche. Proposta arrivata in Senato, guarda caso, proprio alla vigilia della sua nuova discesa in campo per la segreteria del Pd. “Aspettiamo con curiosità che il Parlamento approvi finalmente la commissione di inchiesta sulle banche – scrive l’ex premier – Sarà interessante andare a capire in questi dodici mesi che ci separano dalla fine della legislatura le vere responsabilità, a tutti i livelli istituzionali e politici”. Anche qui, messaggio chiaro: la Commissione d’inchiesta, al di là della proposta in sé, è finalizzata ad un obiettivo tutto politico. E, soprattutto, tutto personale.
Anzitutto, perché le banche? Perché proprio dalle banche è partita la sua parabola discendente: la vicenda di Banca Etruria e delle altre 3 popolari salvate dal suo governo nel 2015 tra le polemiche, con annesso coinvolgimento del padre dell’allora ministra Boschi, ha inevitabilmente incrinato la fiducia nella sua persona soprattutto, da parte di chi, dentro e fuori dal Pd, era salito sul carro vincente del renzismo.
Renzi vuole ripartire proprio da qui per dire in modo netto: punto tutto sul tema più delicato per far vedere che non ho paura di nulla. Ma soprattutto: punto su questo per vedere se c’è qualcun altro coinvolto. E quando parla di “vere responsabilità” da accertare ha nel mirino diversi soggetti. Uno su tutti: Massimo D’Alema, “l’architetto della scissione”, e le sue “responsabilità” in merito alla vicenda dell’acquisizione della Banca 121, banca del Salento, terra e bacino elettorale del baffetto nazionale, da parte del Monte dei Paschi di Siena.
Dunque, le banche non solo come terreno di rilancio ma anche di rivincita, per parare i colpi ed evitare così una diaspora dalle sue fila. Di qui la trovata renziana di tentare di attribuirsi un nuovo titolo presentandosi come “l’alfiere della trasparenza” (“Per noi, per me la parola trasparenza è un concetto irrinunciabile”) e della “chiarezza” sulle vicende bancarie per dimostrare che “non abbiamo scheletri nell’armadio”. Una genialata, come la mesticherebbe lo stesso Renzi.
Ma, purtroppo per lui, quasi tutti si sono accorti che questa è l’ennesima “arma di distrazione di massa” di un leader politico dalla immagine ammaccata dai suoi stessi errori e che sembra aver del tutto perso le qualità che gli venivano riconosciute all’inizio. E, con l’aria che tira nel Pd, non è da escludere che, al di là dei proclami (“appoggeremo il segretario vincente”), una vittoria di Renzi alle primarie possa generare altri problemi e altri fuoriusciti. A quel punto l’isolamento, tanto temuto, diverrebbe sempre più concreto.