Renziani e company frenano sulla manovrina ma dov’erano i nostri eroi quando il debito aumentava?
07 Aprile 2017
di Carlo Mascio
C’è poco da fare. Questa “manovrina” non va giù proprio a nessuno, nella maggioranza di governo che almeno in teoria dovrebbe sostenerla. E a pochi giorni dalla sua presentazione, tutti alzano la voce e minacciano Padoan divenuto, per forza di cose, lo sfogatoio delle tensioni di una maggioranza andata nel pallone dopo il caso Torrisi. Ma i Renzi, i Bersani e, soprattutto, gli Alfano che oggi criticano la manovrina si dimenticano che se il debito pubblico è aumentato nel corso della stagione renziana, non è certo per colpa degli italiani.
In ogni caso, dietro alle minacce e alle scaramucce di rito ci sono ragioni eminentemente elettorali. Lo sa bene Matteo Renzi che è stato il primo ad avviare la crociata contro la manovra richiesta da Bruxelles proprio per mascherare le sue “colpe”. A chi, come Enrico Letta, ha provato a ricordare pubblicamente quali sono queste colpe, l’ex premier ha riservato le bordate più dure, tacciandolo di essere complice dell’austerity. Bordate a cui ci ha fatto l’abitudine Padoan che, pressato incessantemente dal Pd, ha dovuto escogitare in fretta e furia altre misure per arrivare alla fatidica cifra di 3,5 miliardi di euro.
Le misure pro-terremoto – che non si capisce cosa ci stanno a fare nella manovrina dato che non incideranno sul deficit strutturale – e la rottamazione delle cartelle esattoriali sono piaciute ai renziani. Meno la riforma del catasto che ha registrato diversi malumori nel corso dell’assemblea dei deputati Pd. Ma Padoan, questa volta ha glissato, “ce lo chiede l’Europa”. Un modo come un altro per dire: ragazzi, la pazienza ha un limite, riaprendo così uno scontro che Gentiloni nelle scorse settimane ha provato a smorzare abbinando la manovrina alla parola “crescita”, sempre molto cara a Renzi & Co, anche se di crescita, quella vera, nel Paese non si vede l’ombra ma solo la promessa di qualcosa che non è mai arrivata.
Anche Bersani da giorni ormai tallona Gentiloni invitandolo a “dire la verità agli italiani sull’Economia. Ovvero che con Renzi e con tassi bassissimi è aumentato il debito pubblico e sono diminuiti gli investimenti”. In realtà, l’obiettivo di fondo dei compagni di Articolo 1 è quello di alzare la voce per mostrare a tutti che ci sono. E le continue minacce sulla fiducia “non a tutti i costi” vanno in questa direzione. La cancellazione dei voucher e una revisione del Jobs Act sono proprio tentativi di Gentiloni per attivare un diaologo anche ‘a sinistra’. Ma Bersani chiede di più, ovvero “un tavolo tecnico sulla manovra” perché “vogliamo correzioni equilibrate” e non “altre diseguaglianze”, spiega Speranza.
E chi si è infastidito per questo “corteggiamento a sinistra” del governo è Angelino Alfano che, a scoppio decisamente ritardato, ha tuonato sui voucher minacciando una sommessa “crisi di governo”. Anche in questo caso, l’obiettivo politico però è un altro: alzare la voce per sopravvivere. O meglio, alzare la voce per dimostrare di stare facendo lo stesso gioco di Renzi. Motivo? Per paura di scomparire, tutti, attori e comprimari, nel governo e nella maggioranza che lo sostiene, ci si improvvisa “tecnici”, e dicono “no” alla manovrina e “sì” a misure “non depressive”, senza spiegare però dove trovare coperture e risorse alternative.