Rice accusa l’imperialismo russo, ma non sarà una nuova guerra fredda
19 Settembre 2008
“Il futuro della Russia è nelle mani dei russi”: questo è il succo del discorso tenuto ieri dal segretario di Stato Condoleezza Rice di fronte alla platea del German Marshall Fund. “Qualcuno ha tentato di attribuire ad altri la responsabilità del cambiamento di comportamento della Russia. Ma per le azioni russe non si può dare la colpa ai vicini georgiani”. La Rice, a questo proposito, ha negato il sospetto che aleggia da un mese: che siano stati gli Usa a suggerire al presidente georgiano Saakashvili di attaccare i separatisti osseti il 7 agosto, provocando la reazione militare russa. “Ad essere sinceri i leader georgiani” – replica il segretario di Stato – “avrebbero potuto gestire meglio gli eventi del mese scorso in Ossezia del Sud. Noi avevamo messo in allerta i nostri amici georgiani che la Russia stava tendendo loro una trappola e che cascarci avrebbe solo favorito Mosca. Ma i leader russi hanno usato questo come pretesto per lanciare l’invasione di un loro vicino indipendente, un’azione chiaramente premeditata. I leader russi hanno creato tutti i presupposti di questo scenario da mesi. Hanno distribuito passaporti russi ai separatisti georgiani, hanno addestrato e armato le loro milizie e poi hanno giustificato l’invasione della Georgia come un atto di auto-difesa. Il comportamento russo non può nemmeno essere attribuito all’allargamento della Nato. A guerra fredda finita, noi e i nostri alleati abbiamo lavorato per trasformare la Nato da un’alleanza che difendeva un pezzo di un’Europa divisa in uno strumento per far crescere un’Europa unita, pacifica e libera e in un’alleanza per combattere il terrorismo, lo stesso pericolo che minaccia anche la Russia”.
E’ lo stesso concetto che era stato sottolineato anche dal vicepresidente Dick Cheney, nel corso della sua visita a Roma, quando aveva dichiarato: “I confini occidentali della Russia non sono mai stati così sicuri”. La Nato non può in alcun modo essere considerata come un’alleanza anti-russa. Vederla sotto questa luce è frutto di una distorsione ideologica della classe dirigente russa, quell’élite di ex dirigenti militari sovietici che, usando le parole della Rice: “Sta diventando sempre più autoritaria all’interno e sempre più aggressiva all’estero”.
Dal momento che la responsabilità è russa, non c’è altra scelta che reagire. E la reazione deve essere condivisa da Usa ed Europa, non solo per principio, per far fronte a una potenza espansionista, ma anche per pratici motivi energetici: “Stati Uniti ed Europa stanno approfondendo la loro cooperazione per conquistare l’indipendenza energetica, lavorando con l’Azerbaijan, la Georgia, la Turchia e i Paesi che si affacciano sulle rive del Caspio. Noi dobbiamo espandere e proteggere fonti energetiche aperte al mercato mondiale da qualsiasi pratica abusiva. Non possiamo riconoscere un set di regole adatto solo alla Russia diverso da quello di tutti gli altri”.
Nonostante la Russia abbia abbandonato la via della democrazia e abbia imboccato quella di un nuovo autoritarismo, nessuno, all’interno della classe dirigente americana, pensa a una rinascita della guerra fredda. Questo concetto è stato ribadito ieri da Condoleezza Rice, quando afferma che: “I leader russi, oggi, non hanno un’ideologia universalista, non offrono alcuna visione del mondo alternativa a quella della democrazia capitalista e non hanno la capacità di costruire un sistema alternativo di Stati satelliti e istituzioni antagoniste. Tutte i presupposti su cui si fondava il potere sovietico sono finiti”.
Entrambi i leader russi, sia il presidente Dmitrij Medvedev che il premier Vladimir Putin, stando alle loro ultime dichiarazioni, accettano questo terreno di gioco: nessuno di loro pensa a una rinascita della guerra fredda. “Non ci sono più i presupposti ideologici che avevano alimentato la guerra fredda”, aveva dichiarato Putin da Soci, contemporaneamente alla visita di Medvedev a Varsavia. “Usa e Russia hanno tutti gli elementi per forgiare un dialogo costruttivo e a lungo termine su alcuni temi, malgrado il disaccordo significativo su alcune questioni internazionali” – ha dichiarato ieri Medvedev ricevendo al Cremlino un gruppo di nuovi ambasciatori stranieri – “La storia delle relazioni tra Russia e Stati Uniti ha visto numerosi momenti critici, ma invariabilmente il buon senso e il pragmatismo sono sempre prevalsi. Sarebbe poco previdente mettere da parte questi risultati e tornare ai vecchi stereotipi”.
Quella tra Russia e Usa, dunque, non è una nuova guerra fredda. Nessuna delle due parti pensa di “seppellire” (nei termini di Chrushev) il nemico, né economicamente, né militarmente. E’ molto più difficile che vi sia un conflitto tra le due potenze o un ritorno all’equilibrio del terrore nucleare. Contrariamente alla guerra fredda, le due parti si riconoscono reciprocamente la legittimità. La rivalità nasce da due differenti visioni delle relazioni internazionali: Medvedev, prima di recarsi a Varsavia, ha rilanciato l’idea di una “sfera di interessi privilegiati” della Russia nell’area ex sovietica. Recandosi a Varsavia, ha ricordato al governo polacco che “la Polonia non minaccia in alcun modo la sicurezza della Russia” – ma – “è lecito notare che una parte del sistema anti-missile americano sta comparendo vicino ai nostri confini”. E in una settimana i russi hanno effettuato due test di missili (il secondo è avvenuto ieri pomeriggio) che potrebbero superare le difese americane. Giusto per ribadire che non tollerano la presenza di uno scudo anti-balistico in quella che dovrebbe essere la “loro” sfera di influenza. Sempre in quest’ottica, Medvedev ha annunciato l’invio di 7600 uomini in Abkhazia e in Ossezia del Sud, il doppio di quelli presenti prima della guerra contro la Georgia. Poi ha formalizzato la sua intenzione firmando, due giorni fa, un trattato di amicizia e cooperazione (anche militare) con le due regioni georgiane separatiste, la cui indipendenza viene riconosciuta solo dalla Russia (e dal Nicaragua). Contemporaneamente alla firma dell’accordo, Medvedev ha anche annunciato il varo di una legge per estendere verso Nord la “sfera di interessi privilegiati”: incorporando una zona artica pari al 18% dell’intero territorio della Federazione. E dando carta bianca alla Gazprom per avviare esplorazioni nei fondali che verrebbero, in questo modo, incorporati alla Russia.
Tutti questi atti sono unilaterali e confliggono con gli interessi degli altri Stati coinvolti. La firma dell’accordo con le regioni separatiste georgiane e il raddoppio delle truppe in quei territori sono una palese violazione dei sei punti del cessate-il-fuoco concordato con Nicolas Sarkozy, oltre che un’amputazione del territorio sovrano georgiano. Ai tempi del vertice Nato di Bucarest, in aprile, al Cremlino ironizzavano: “Se la Georgia entrerà a far parte della Nato, lo dovrà fare con un territorio molto più piccolo”. Il riconoscimento dell’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e poi l’invio di truppe permanenti, dimostra che quella di allora non era solo una provocazione. Anche l’espansione verso il Polo Nord, nelle cui acque “sventola”, già da un anno, una bandiera russa piantata da un sottomarino, è una violazione degli accordi con le altre nazioni che hanno interessi nella zona artica: Norvegia, Danimarca, Canada e Stati Uniti. Il ministro degli Esteri canadese non ha tardato a commentare le pretese russe come: “Imperialismo in stile XV secolo, quando si andava in giro per il mondo a piantare bandiere e proclamare il possesso di territori”. E sempre in quest’ottica va letta la nuova corsa agli armamenti russa, per competere e non per cooperare con le potenze militari occidentali: l’esercitazione (conclusasi ieri) dei vecchi bombardieri strategici Blackjack nei Caraibi, facendo base in Venezuela, è stata eseguita e pubblicizzata per dimostrare di poter aggirare un’eventuale scudo anti-missile in Europa centrale. E poi i test missilistici, per mostrare al mondo di essere in grado di “bucare lo scudo”, ricordano vagamente l’ultima fase della corsa agli armamenti tra Usa e Urss.
Condoleezza Rice, d’accordo con analisti internazionali come Fareed Zakaria, ritiene che tutte queste flessioni di muscoli siano “povere cose”, frutto di una visione politica di altri tempi, in grado di aumentare i costi per la popolazione russa, ma non di apportare benefici. Ricordando tutti i progressi della globalizzazione, la nascita di grandi aree economiche comuni in Europa e in Asia, la Rice sottolinea che la Russia si sta escludendo dal mondo per la conquista di qualche pezzo di terra, la creazione di “arcaiche” sfere di influenza e per “Guadagnarsi una pacca sulla spalla da Daniel Ortega e Hamas: non certo un trionfo diplomatico”. “Con queste azioni la Russia non è in grado di cambiare il corso degli eventi” – spiega la Rice -. “Se la Russia vuol diventare qualcosa di più di un fornitore di energia, i suoi leader devono riconoscere una dura verità: la Russia dipende dal resto del mondo per il suo successo e non può cambiare questa realtà”. E’ per questo che la reazione degli Stati Uniti al nuovo espansionismo moscovita sarà soprattutto economica. L’adesione russa al Wto è “in discussione” per usare i termini della Rice. Il senatore John McCain ha sempre proposto, sin da tempi non sospetti, che la Russia venga espulsa dal G8. Se dovesse diventare presidente, quasi certamente, metterebbe questa proposta sul tavolo dei colleghi democratici del G7.