Riconfermata la fiducia a Saakashvili, la Georgia è pronta per NATO e UE
12 Giugno 2010
Dopo la riconferma del gennaio 2008, la Georgia ha cambiato idea sul suo presidente? No. Lo si deduce da come sono andate le elezioni del 30 maggio scorso. Benché locali, queste consultazioni rivestono un’importanza particolare. Sono le prime dopo l’invasione russa dell’agosto 2008. Sono doppiamente significative perché permettono di misurare la tenuta della democrazia in un Paese messo in pericolo dalla guerra. E perché permettono di capire il grado di popolarità di cui gode ancora il presidente filo-occidentale Mikheil Saakashvili, non solo dopo l’invasione, ma anche dopo la sua nuova infornata di riforme liberiste dell’economia. Entrambi i test sono stati brillantemente superati.
Per quanto riguarda la tenuta della democrazia, l’osservatore dell’Unione Europea, Per Eklund, rileva alcune “violazioni non sistematiche”, ma afferma nel suo rapporto che le operazioni di voto e scrutinio sono state “ben gestite”. Julie Gorgadze, portavoce della commissione elettorale centrale, riferisce che la procedura è stata eseguita “senza ostacoli”. Giga Bokeria, viceministro degli Esteri, afferma che, contrariamente alle volte precedenti, queste elezioni sono state caratterizzate da scontri fra candidati su temi locali e pratici. “Intendo dire” – dichiara Bokeria – “che in tutta la mia breve esperienza (è nato nel 1972, ndr) queste sono le prime elezioni in cui una massa critica, una maggioranza schiacciante di candidati, conducono una campagna basata sui programmi. Non abbiamo mai visto una cosa simile. Solo per questo abbiamo fatto un gigantesco passo avanti”.
Per quanto riguarda la tenuta di Saakashvili, la maggioranza della popolazione ha votato per i candidati del suo partito, il Movimento Nazionale Unito. Nella capitale Tbilisi ha vinto il sindaco Ugulava con una maggioranza assoluta. E’ andata bene al partito di governo anche nella maggior parte delle altre 64 amministrazioni da rinnovare.
Viene così smentito uno dei più insistenti luoghi comuni sulla Georgia: quello secondo cui il presidente Saakashvili governerebbe con metodi dittatoriali per difendersi dalla sua presunta impopolarità. Lo sconfitto, Zviad Dzidziguri, il leader dell’opposizione filo-russa, organizzatasi nella coalizione Consiglio Nazionale, ha usato parole di fuoco per commentare la débacle. “Diamo inizio a consultazioni con le altre forze d’opposizione per iniziare proteste e per chiedere nuove elezioni presidenziali e parlamentari”, aveva dichiarato il giorno dopo la pubblicazione dei primi risultati di elezioni che definisce “né libere, né eque”. Prima del voto paventava scenari di rivolta violenta, come nel lontano Kirghizistan. Ma il suo gruppo ha ottenuto un magro 8% dei voti, è stato battuto, non solo da Saakashvili, ma anche dai partiti di opposizione meno filo-russi. Infine, ma non da ultimo, il parere positivo degli osservatori internazionali sulla regolarità del voto rende poco credibile la sua protesta. Uno scenario di destabilizzazione interna alla Georgia, insomma, è altamente improbabile.
Ogni volta che i georgiani si sono stretti attorno alla loro leadership, però, la Russia si è fatta avanti con ben altri metodi. La guerra del 2008 è seguita al fallimento della “rivoluzione bianca” anti-Saakashvili del 2007 e alla vittoria del presidente nelle successive elezioni. La pressione militare russa sulla Georgia si era rafforzata nel corso degli ultimi anni quando Mosca aveva constatato gli scarsi risultati del suo embargo economico. Insomma, se la Georgia non si piega con “mezzi pacifici”, la Russia può passare alle vie di fatto. E, se l’obiettivo resta quello di Putin (rovesciare la classe dirigente filo-occidentale georgiana) potrebbe farlo anche entro i prossimi tre anni, considerando che nel 2012 i georgiani torneranno alle urne per rinnovare il parlamento e nel 2013 ci saranno le prossime presidenziali.
Nonostante la ricostruzione delle forze armate e le lezioni apprese nel 2008, la Georgia, da sola, non è in grado di dissuadere la Russia, né di difendersi da una sua eventuale mossa militare. Per questo Tbilisi continua ad aspirare all’ingresso nella NATO e nell’UE. Quale è la risposta che arriva dalle due grandi istituzioni occidentali? In Europa, il Presidente della Commissione, José Manuel Barroso, ha rimproverato esplicitamente Tbilisi lo scorso marzo perché, a suo avviso, le riforme democratiche sarebbero insufficienti. Il pretesto per l’ultimo scontro con Bruxelles ha però ben poco a che vedere con la democrazia georgiana: il motivo del contendere era una finta notizia, diffusa da Tbilisi, su una nuova invasione russa. La provocazione, per quanto pesante fosse, aveva provocato l’ira di Mosca che l’aveva definita una mossa “avventurista” di Saakashvili. E Bruxelles aveva seguito l’onda dell’indignazione.
Intanto, questa settimana, Putin era in viaggio d’affari a Parigi. Per acquistare armamenti, fra cui quattro navi d’assalto anfibio classe Mistral. Proprio a proposito di quelle unità, lo scorso novembre, il comandante in capo della marina russa aveva commentato: “vrebbero consentito alla nostra Flotta del mar Nero di compiere la sua missione (in Georgia, ndr) in 40 minuti invece che in 26 ore”. E forse la sua non era solo una provocazione, ma una constatazione. Eppure non ha causato alcuna indignazione in Europa, se non un accorato appello del filosofo francese André Glucksmann. L’unica nazione europea che, sinora, si è apertamente schierata al fianco di Tbilisi è la Lituania. Una risoluzione parlamentare, votata il 31 maggio, condanna in termini chiari l’invasione russa della Georgia. Ma quanto conta la piccola Lituania nell’UE e nella NATO? Quanto, rispetto alla Francia?