Rifiuti, quando la legge la detta il “popolo dei no”

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Rifiuti, quando la legge la detta il “popolo dei no”

12 Marzo 2008

Mancano una sessantina di giorni
alla scadenza del mandato affidato da Prodi all’ex capo della Polizia Gianni De
Gennaro e siamo ancora lontani dal poter dire che il peggio è passato.

Ci sono
i mucchi di spazzatura per le strade a Napoli e nella provincia.
L’enorme quantità di rifiuti che giaceva nei giorni  di Natale è solo in parte
diminuita dal lavoro del prefetto. Erano oltre 350 mila le tonnellate a
gennaio, sono circa 250 mila oggi.

La storia è nota e ha occupato le
prime pagine dei quotidiani e i titoli di testa dei telegiornali. Parliamo di
250 milioni di euro messi a disposizione dell’Unione europea dal 1994 al 2006,
parliamo di 2 mila miliardi spesi inutilmente in quattordici anni, parliamo di
nove commissari straordinari che si sono avvicendati in questo quindicennio:
stiamo parlando della cosiddetta “emergenza rifiuti”. L’inizio “ufficiale” è
l’11 febbraio 1994, data della prima ordinanza del presidente del Consiglio dei
ministri che nomina il prefetto di Napoli commissario straordinario per
l’emergenza rifiuti. L’ultima proroga dello stato di emergenza, il 9 gennaio
2008, quando il governo dà pieni poteri al supercommissario De Gennaro. Con
l’ordinanza firmata dal presidente del Consiglio Romano Prodi si sperava di
uscire definitivamente dall’emergenza. Così non è stato. La realtà va in altre
direzioni, anche se i poteri conferiti all’ex capo della Polizia non lì ha
avuti nessuno dei precedenti commissari. Ancora più in chiaro, nell’euforia del
momento, si è pensato, per l’ennesima volta, di affrontare il problema solo con
misure estemporanee, dal lato dell’emergenza e dell’ordine pubblico, spostando
nel tempo i problemi invece che risolverli. 

Con il tempo, sono tuttavia
cambiati i dati. Due soli riferimenti bastano a mostrare
insieme il permanere del dramma rifiuti. L’Esercito in molti comuni non è mai
arrivato, mentre sono a un passo
dalla saturazione i siti di stoccaggio provvisori. Nel frattempo De Gennaro
tace e cerca disperatamente cave storiche della Campania da utilizzare come
discariche, deposito di balle o siti di stoccaggio, in attesa dello smaltimento
in Germania.

Diversamente, tra le contestazioni di quelle comunità che non
vogliono nelle loro zone discariche e la
chiusura degli impianti di Cdr (Combustibile Derivati dai Rifiuti), intasati
dalle balle di rifiuti, lo scenario
che si presenta agli occhi non lascia molto spazio all’immaginazione. Nugoli di
insetti ronzano dappertutto e l’aria, resa sporca dai fumi dei cumuli di
sacchetti incendiati, si satura di altri veleni prodotti dall’immondizia non
raccolta per settimane; le periferie, da Napoli alla provincia, sono piene di
discariche improvvisate e pericolose. A tutto questo, s’aggiunge un’opinione
pubblica ormai stanca e deteriorata e un inquinamento crescente dei suoli nella
regione che, più di ogni altra, vive di produzione agraria e alimentare. Siamo
lontani dalle condizioni di efficienza e, in particolare, la situazione sul
fronte dell’emergenza, dopo circa tre mesi di confusione, è tutt’altro che
risolta. Ed è già tempo di altri bilanci.

Il primo dato fondamentale al
riguardo è che adesso, in realtà, servono soluzioni radicali per l’emergenza
ambientale campana. Più precisamente, la
priorità deve essere la fine della stagione dei commissariamenti e le
istituzioni, a partire dai politici, devono riprendere in mano la gestione dei
rifiuti. Coerentemente con quest’ultimo assunto, è arrivato il momento di
affrontare il tema dei rifiuti non come un problema emergenziale, ma come un
servizio tra i più ordinari e prevedibili della vita civile del Paese.

Oggi, il dato rilevante è che
all’emergenza si aggiunge un’altra emergenza: l’inquinamento delle falde
acquifere e del territorio in Campania. E, a proposito, dopo mesi di
valutazioni, l’Unione Europea, in
gennaio, ha avviato per la seconda volta una procedura d’infrazione nei
confronti dell’Italia. In primo luogo, per la mancata applicazione della
normativa comunitaria sull’ambiente, la Direttiva europea sulle discariche del
1999. A tal proposito, la normativa comunitaria pone obiettivi per la riduzione
dei rifiuti biodegradabili urbani da mandare in discarica e, associata alla
carenza di spazio nelle discariche in Europa, spinge verso strategie
alternative per lo smaltimento dei rifiuti, fra cui la termovalorizzazione;
sollecita, inoltre, ad avviare un progetto per la raccolta differenziata dei
rifiuti, prendendo atto che quello fin qui realizzato si è rivelato
insufficiente. In secondo luogo, poi, dopo aver sottolineato la gravità della
minaccia denunciata ormai da una serie impressionante di messaggi politici, di
ricerche e di studi scientifici, gli esperti di Bruxelles invitano a ridurre i
rischi sull’ambiente, in particolare sulla salute umana, sull’atmosfera, sul
suolo, sulle acque freatiche e sulle acque superficiali.

In Italia, a fine 2007 gli
impianti operativi erano circa 50, di cui 13
in Lombardia, 9 in Emilia Romagna, 8 in Toscana e così via, ma nessuno in
Campania. Su 153 impianti contestati, 83 riguardano il processo di smaltimento,
ossia i termovalorizzatori. Così, negli anni, mentre nei paesi europei più
industrializzati gli inceneritori esistono e il loro funzionamento non ha mai
creato problemi, perché le norme ambientali vengono rispettate. In Italia, ci sono ritardi difficili da colmare. Di più: a
rallentare e frenare il Paese è la “sindrome Nimby”(da Not in my back yard, niente dietro al giardino di casa).
Riassumendo: da molti anni, il nostro Paese si è fermato di fronte ai muri di%0D
“no” delle comunità locali, ai blocchi, alle manifestazioni, fino ai veti e
alle decisioni politiche. In più, con le discariche chiuse e pochi nuovi
impianti aperti, la programmazione e la pianificazione del ciclo dei rifiuti è
indirizzata spesso verso altre direzioni: soluzioni precarie, e solo un po’di
tempo guadagnato. Un esempio per tutti: il caso di Napoli e della
Campania. 

D’altro canto, invece, nel resto
d’Europa i termovalorizzatori funzionano a pieno regime e vi è una vera e
propria corsa alla realizzazione di questo tipo di impianto. Perché,
all’interno dello smaltimento dei rifiuti, lo sviluppo nei prossimi anni è
quello del loro recupero energetico, legato alla realizzazione di impianti
capaci di trasformare i rifiuti solidi urbani in energia elettrica e termica.

Di
converso, in molti di questi paesi, il mercato legato al “waste-to-energy” (gli
inceneritori con recupero energetico o termovalorizzatori), si sta rivelando
interessante per alleviare la pressione sulle discariche e per eliminare
rifiuti che non possono essere riciclati. L’energia generata viene utilizzata
per alimentare lo stesso impianto o a favore della comunità locale, nel
rispetto dei protocolli ambientali e della Direttiva discariche del 1999. Al
momento, più di 400 impianti di termovalorizzazione, disseminati in Europa,
bruciano circa 50 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani all’anno. I
paesi più attivi sono la Francia (123 impianti) e la Germania (58 impianti), ma
anche la Svezia, l’Olanda e la Danimarca; quest’ultima, è la più virtuosa anche
in termini di raccolta differenziata. Ad oggi, si prevede che entro il 2012, oltre
100 nuovi impianti saranno installati in Europa. Numeri che sono destinati ad
aumentare dal momento che l’industria dell’incenerimento e del riciclaggio è un
business che vale miliardi di euro e occupa migliaia di persone. La stessa cosa
avviene nel resto del mondo: Canada, Stati Uniti e Giappone.

Una osservazione aggiuntiva
merita la politica del ciclo dei rifiuti. Da tempi non sospetti, in modo
consistente, argomenti di assoluta importanza relativi allo stato di salute
delle nostre città, sono stati sottaciuti o, quanto meno, non confortati da
impegni e interventi decisivi tali da ridimensionare gravi insufficienze. Oggi
che i disagi appaiono chiari ed evidenti, si impongono irrimandabili decisioni
per prevenire futuri scenari napoletani. In molti comuni italiani occorre
ripartire e spingere sulla raccolta differenziata, poi è necessaria la
costruzione di termovalorizzatori e così di impianti di compostaggio, cioé
sistemi che trasformano i rifiuti anche in concime. Non ultimo, una logistica
ripensata sul territorio secondo modalità che permettano di riutilizzare anche
le aree comunali dismesse, e gestita sia dalle amministrazioni pubbliche che
dai privati. La difesa dell’ambiente e del territorio si presenta come uno dei
temi da affrontare con notevole attenzione e senso di grande responsabilità da
parte del governo nazionale e degli Enti locali.

Ciò significa che, anche se con
difficoltà, bisogna decidere nell’interesse permanente. Questo vuol dire, beninteso,
fornire strade per la tutela dell’interesse collettivo che vadano oltre i veti,
divieti e, soprattutto, quelle soluzioni d’emergenza che creano ai cittadini
molti disagi senza risolvere i problemi una volta per tutte.