Rigore e diffidenza, la ricostruzione post sisma inceppata nelle maglie della burocrazia
15 Marzo 2018
La cronaca che arriva in questi giorni dalle zone dell’Umbria e delle Marche colpite dal terremoto del 2016 ha i toni di una farsa. Dopo il sequestro del centro polivalente di Ancarano, disposto dalla Procura di Spoleto agli inizi di gennaio, sono stati messi i sigilli anche quello di Norcia, quel famoso “Padiglione delle esposizioni” costruito grazie alle donazioni arrivate all’indomani del sisma che aveva raso al suolo la città di San Benedetto.
Ancora una volta, il sequestro è scattato per una presunta violazione delle norme sull’edilizia (assenza di un valido titolo abitativo e non conformità ai vincoli paesaggistici) di cui sarebbe responsabile il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno, indagato insieme al direttore dei lavori, il famoso architetto Stefano Boeri.
La polemica mediatica che ne è scaturita, questa volta, è stata particolarmente rumorosa perché le donazioni private che hanno permesso di costruire il centro sono state raccolte dal gruppo del Corriere della sera. A difendere la regolarità della struttura è intervenuto Mentana sul Tg7, mandando in onda le immagini che documentano come la struttura sia stata progettata e costruita in modo da essere smontabile in qualsiasi momento. Per una volta anche un tg, colpito direttamente, ha parlato di una “improvvida iniziativa della magistratura inquirente” e persino di “vergogna” per tutto quello che sta succedendo. La stessa Procura è dovuta intervenire pubblicamente per difendersi da “invettive basate su dati di fatto parziali e quindi falsi”, ma al di là del polverone resta l’indignazione e la rabbia di una popolazione che vive questa vicenda come un ulteriore colpo di arresto al tanto atteso ritorno alla normalità.
La ricostruzione delle zone terremotare sembra essere prigioniera di una burocrazia alimentata da leggi ottuse e miopi anche nelle Marche. E’ del 13 marzo la nota con cui l’ufficio speciale della Regione ricorda agli ordini professionali e ai sindaci dei paesi colpiti dal sisma che il prossimo 30 aprile, ovvero tra poco più di un mese, scadono i termini per la presentazione delle domande per il finanziamento dei lavori su edifici con danni lievi. All’appello – avverte la circolare firmata dal direttore dell’ufficio, Cesare Spuri – mancano ancora circa 6 mila progetti. Difficile pensare che le pratiche attese possano essere presentate nei prossimi 40 giorni, cosa che alimenta il rischio che migliaia di terremotati possano irrimediabilmente perdere la possibilità di ottenere un contributo economico per mettere in sicurezza le proprie abitazioni. Neppure l’ipotesi di una proroga estiva bastererebbe a compensare il ritardo. Il perché lo spiegano i tecnici che si occupano delle istruttorie: l’inoltro delle domande è strozzato da procedure complicatissime, cavilli legislativi da assecondare per non rischiare contestazioni, quantità enormi di materiale fotografico da consegnare a supporto della documentazione.
Qual è la ratio che governa questa diabolica macchina della ricostruzione? Tutto viene fatto in nome della correttezza e della trasparenza, per evitare frodi e speculazioni legate al business che ruota attorno all’indotto. Ma il meccanismo non funziona, è fermo, inceppato nelle maglie del rigore. È lo stesso meccanismo, improntato alla filosofia grillina (e di tutta la sinistra) della diffidenza, del controllo assoluto, delle leggi che normano anche la più piccola iniziativa, che blocca in Italia le amministrazioni pubbliche ma anche l’impresa privata. È, purtroppo, un’esperienza che nelle zone terremotate vivono tutti i giorni, e alle false promesse di una gloriosa ripartenza, ormai, da quelle parti, nessuno più ci crede.