Rileggere Sciascia per ritrovare uno dei nodi irrisolti del sistema italiano
30 Ottobre 2011
La scorsa primavera, per ricordare la figura di Leonardo Sciascia a novant’anni dalla nascita, l’editore Bompiani ha pubblicato il volume “Un onorevole siciliano”, che raccoglie gli interventi parlamentari dello scrittore siciliano tra il 1979 e il 1983, durante la legislatura che lo vide deputato tra le file del Partito Radicale. Undici tra interrogazioni e interpellanze, scritte da Sciascia di suo pugno, undici pagine di letteratura dell’impegno e della passione civile. Già da sole basterebbero a deliziare il lettore, ma a introdurle e commentarle è un altro protagonista della scena letteraria italiana, quell’Andrea Camilleri che, svestiti per una volta i panni del giallista, testimonia la sua antica amicizia con Sciascia, ripercorre la “carriera politica” dell’autore del “Giorno della civetta” e insieme ricostruisce un pezzo di storia italiana.
Alla fine, piuttosto che un semplice omaggio a Sciascia e alla sua strabiliante preveggenza, il libro diventa un saggio sull’eterno ritorno applicato alla storia patria, un viaggio tra le contraddizioni insanabili, i mali antichi e recenti del Belpaese sotto l’ala di un anfitrione eccezionale. Dalla mafia all’affaire Moro ce n’è per tutti i gusti: uno ad uno Sciascia ripercorre i temi cari alla sua sensibilità di scrittore e cittadino, proponendo alla camera riflessioni argute in uno stile assai lontano dal politichese. In particolare, nell’autunno del 1979, solleva una questione clamorosamente attuale.
In parlamento si sta svolgendo il dibattito sui poteri speciali che il governo Cossiga vorrebbe concedere alle forze dell’ordine per fronteggiare l’escalation del terrorismo e il clima da guerra civile che attanaglia l’Italia: Sciascia prende la parola ed esprime la sua netta contrarietà a ogni misura eccezionale per la difesa dello Stato, ogni sospensione, seppur parziale, delle garanzie costituzionali. Le leggi speciali, dice, sono valvole di sfogo offerte dai cattivi governi alle polizie inefficienti, testimoniano solo l’arretratezza delle forze dell’ordine e di tutto il sistema democratico.
Si tratta di argomento “sempreverde”, un classico del dibattito politico italiano, riproposto solo poche settimane fa dalla scelleratezza dei black bloc e dalla guerriglia urbana scoppiata a Roma durante la manifestazione degli “indignati”. Sciascia, insomma, tocca un nodo irrisolto del sistema Italia, un nervo sensibile che, periodicamente stimolato, produce richiami incontrollati a epoche non proprio felici, vagheggiamenti più o meno composti di leggi speciali e misure d’emergenza. Contro queste ipotesi la voce dello scrittore si leva ad ammonire che la smania di mostrare i muscoli nasconde un inganno e il presunto rimedio alla violenza rischia di essere peggiore del male che l’ha generato.
Per rafforzare la sua tesi Sciascia porta uno stringente esempio di buon senso. Tutti, riflette, hanno esperienza dei posti di blocco organizzati sul ciglio della strada da polizia e carabinieri: due o tre militari disposti intorno a una vettura, pistola nella fondina, verbale in canna e paletta alla mano per fermare gli automobilisti di passaggio. Mettiamo che a questi militari fosse concesso di sparare contro una vettura che non risponde a ripetute intimazioni di alt: la prerogativa avrebbe conseguenze potenzialmente paradossali. Se la vettura in avvicinamento fosse occupata da persone che non hanno nessun interesse a farsi fermare, niente di più facile che una canna di mitra, spuntata all’improvviso da un finestrino, falci i tutori dell’ordine esposti al fuoco senza protezione, prima che possano reagire. Se, al contrario, l’automobilista di turno evitasse di fermarsi per distrazione, emozione o perfino paura, sarebbero i militari, sparando, a correre il rischio di una clamorosa imprudenza.
L’attribuzione di poteri speciali, in definitiva, è per Sciascia pericolosa, quasi sempre inutile e anzi deleteria: piuttosto, per fronteggiare la tracotanza del crimine e l’aggressività del terrorismo, servirebbe garantire alle forze dell’ordine una buona istruzione, un adeguato addestramento, un’intelligente direzione. Tutte quelle caratteristiche che definiscono un sano e sacrosanto “professionismo”.
Ben vengano le leggi ad hoc, sostiene l’onorevole Sciascia, e perfino le misure d’emergenza, purché non ledano in nessun caso le garanzie costituzionali e la dignità dei cittadini: bussola indispensabile anche nel momento della repressione più dura. La forza legittima, la sola che produca giustizia, va usata con la stessa precisione di un bisturi; deve respingere gli impulsi ciechi e rabbiosi e fondarsi unicamente su una razionalità “oculata”. E non fermarsi sulle soglie dei “santuari del potere”, gli oscuri grovigli di interessi visibili e invisibili, i covi spesso insospettabili e ammantati di decoro dove pulsa il germe dell’illegalità e del malaffare.
Il trionfo della trasparenza, e insieme dell’equilibrio e della misura, è il trionfo della democrazia. Perseguire il male fino alle sue radici ma nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali, in ossequio a una razionalità che diventa rigorosa deontologia, è il modo migliore che i buoni governi (e la buona magistratura e la buona informazione) hanno a disposizione per evitare di tradire i cittadini, mandare allo sbaraglio le forze dell’ordine, infrangere quegli stessi ideali che li ispirano.
All’indomani dell’immane tragedia della seconda guerra mondiale Sartre scriveva sconsolato che in un mondo di violenza l’unico modo per sconfiggere la barbarie è piegarsi all’uso di una forza necessaria. L’ottusità della violenza suscita la tentazione irresistibile di reprimerla nel modo più duro e deciso. Ma non può che essere uno sbocco temporaneo, l’effetto passeggero della rabbia e dello sdegno. In realtà non è solo la “forza pubblica”, con i suoi mezzi più o meno estesi, ma l’intero sistema democratico a doversi opporre alla violenza. Rintracciandone le sorgenti sociali e culturali, producendo una reazione immunitaria che bandisca l’odio e riaffermi l’obiettivo più autentico della democrazia: ridurre al minimo la contrapposizione violenta ed espandere al massimo i confini della partecipazione, della responsabilità e della coscienza civile.