Rio, la città dei futuri Giochi Olimpici in mano al crimine organizzato
06 Novembre 2009
Da quando nel 2007 la ONLUS Rio de Paz ha incominciato la sua attività nella zona nord di Rio de Janeiro, raccogliendo dati sulle vittime del crimine violento, le morti accertate sono state più di 20.000. Nel biennio 2007-2008, più di 20 morti al giorno; 1.000 persone uccise ogni anno dalla polizia. Cifre preoccupanti, in controtendenza rispetto agli anni precedenti, che inducono a riflettere l’opinione pubblica brasiliana e mondiale sulla sicurezza della città che ha appena messo in cassaforte le Olimpiadi del 2016, le prime nel continente sudamericano. “L’Italia presenta un morto ogni 100.000 abitanti; il Cile 1,7; gli USA 5,6; il Brasile 27. Non è giustificabile per un Paese ricco, sede delle Olimpiadi, registrare così tante morti violente”, afferma il coordinatore di Rio de Paz, intervistato dal quotidiano O Jornal do Brasil.
In molti pensavano che la notizia dell’assegnazione delle Olimpiadi potesse svelenire il clima e portare la calma nel Paese. Tutt’altro: nel mese di ottobre si è avuta una impennata di violenza fuori dal comune, che ha provocato ben 40 morti nell’arco di pochi giorni. Fa riflettere il fatto che gli scontri a fuoco più virulenti siano avvenuti nella favela di Morro dos Macacos, ad un paio di chilometri dallo stadio Maracanà, dove avranno luogo le cerimonie di apertura e chiusura dei Giochi nonché la finale del Campionato mondiale di calcio nel 2014. Qui, i narcotrafficanti hanno abbattuto con un bazooka un elicottero della polizia, uccidendo tre poliziotti. Il bilancio totale degli scontri ammonta ad almeno 14 vittime in ventiquattro ore.
Il repentino aumento del tasso di criminalità è attribuibile principalmente a tre fattori. Anzitutto, la pratica sempre più comune degli “sforamenti”, cioè a dire l’invasione da parte di una gang di un territorio controllato da altre bande criminali. Ciò innesca inevitabilmente la miccia della guerra civile, soprattutto se si scontrano le gang più potenti, tra di loro e con le forze dell’ordine. Il secondo fattore è il dilatarsi delle operazioni criminose al di fuori dei tradizionali feudi criminali. In terzo luogo, l’incompetenza e la corruzione di una parte della polizia. Ha destato molto scalpore in Brasile l’uccisione di Evandro Jo da Silva, coordinatore dei programmi sociali del gruppo culturale AfroReggae, perché avvenuta nel Centro, la City carioca, e perché dei poliziotti presenti nei paraggi non sono intervenuti in soccorso della vittima.
La risposta delle autorità all’emergenza crimine si è indirizzata al potenziamento, con 4.500 uomini, delle unità della Polizia Pacificatrice (Unidades de Policia Pacificadora). Ma i nuclei speciali sono operativi solo in poche favelas, sono sottodimensionato e non possono sempre contare sull’appoggio della popolazione locale. L’Esecutivo ha inoltre previsto di rafforzare il numero degli effettivi della Polizia Militare, portandoli dalle attuali 38.000 alle 62.000 unità prima del 2016. Tuttavia, per risolvere la situazione, potrebbe servire un accordo tra il Governo ed i boss della malavita, sul modello dell’intesa raggiunta – ma mai confermata a livello ufficiale – nel 2006 a San Paolo, con l’organizzazione criminale Primeiro Comando da Capital (PCC), dopo che quest’ultima aveva messo a ferro e fuoco la metropoli.
Nello sposare, peraltro nettamente (66 voti a Rio, 32 a Madrid) la candidatura della città brasiliana all’Olimpiade del 2016, il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) non ha riservato particolare importanza all’aspetto sicurezza. Il CIO ha semplicemente osservato che “la città incontra sfide nel campo della pubblica sicurezza”. Ma se l’emergenza attuale dovesse continuare, oltre alla gestione delle pressioni interne e al mantenimento del prestigio in campo internazionale, il Governo brasiliano dovrà far fronte alle incalzanti attenzioni dei funzionari olimpici. Il Brasile, passato da fallimento a successo eminente dell’America Latina, non può permettersi di perdere la partita della sicurezza, e dovrà impegnarsi a vincerla ben prima che la bandiera a cinque cerchi sventoli sul Cristo Redentor.
Emanuele Schibotto