Ripartire da una “nuova” scuola è una sfida che riguarda tutti noi

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Ripartire da una “nuova” scuola è una sfida che riguarda tutti noi

27 Settembre 2011

Era la Festa di apertura dell’anno scolastico: una suggestiva cerimonia che ogni anno si ripete nel cortile del Quirinale. Ma stavolta nell’aria c’era qualcosa di diverso. E se, per assurdo, me ne avessero dato l’opportunità, avrei proposto che tutti gli studenti italiani iniziassero l’anno scolastico proprio da quel cortile, partecipando a quella cerimonia.

Tutto è stato giusto, tutto ha avuto un criterio. La cantante Emma ad aprire l’appuntamento. I campioni dello sport. Il tricolore. Perché al di là dell’invisibile muro che, purtroppo, divide le istituzioni dal Paese, è stato come assistere a una bellissima lezione, quella che ogni studente meriterebbe al suo primo giorno di scuola. Ha detto bene il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, quando l’ha definita “la cerimonia più bella e gioiosa che ospitiamo”. Davanti a lui c’era il futuro: visi che trasmettevano fiducia, curiosità, speranza.

Ed è a questo punto che è scaturita un’altra riflessione. Era il primo giorno di scuola ideale per gli studenti. Ma forse, ancora di più, lo doveva essere per tutti coloro che oggi hanno la responsabilità di governare il Paese. Da una cattedra ideale è infatti partito un forte richiamo: alla responsabilità, al senso del dovere, ma soprattutto all’esempio a cui tutti i giovani hanno diritto. Siamo alle prese con una crisi che ormai non è più solo economica e di fronte alla quale, come ha esortato Giorgio Napolitano, è fondamentale “stabilire un nuovo ordine di priorità”. Come comporre l’elenco?

È questa la sfida che ci troviamo davanti. E che non ci lascia più margine d’errore. Abbiamo poche frecce al nostra arco e un tempo limitato per centrare l’obiettivo. Ma questo non significa che non sia possibile farlo. Basta avere coraggio e concentrare i nostri sforzi, con onestà e impegno, verso quei settori che possono fungere da moltiplicatore, che possono liberare energie, che possono generare benefici.

La scuola, per esempio. Per questo, come ha chiesto Napolitano, “non può esserle riservata una collocazione riduttiva”. Che, tradotto in termini pratici, significa dotare l’istruzione delle risorse necessarie. Evitare, cioè, che oltre a quello economico, il nostro Paese soffra anche per un altro pesante deficit, quello dell’istruzione. Si tratta di un imperativo al quale dobbiamo collaborare tutti. Perché non c’è rischio più grande di quello che corre una popolazione che ha scarsa conoscenza e cultura: poter essere manipolata.

Le statistiche (dati Ocse) sul punto ci richiamano all’ordine: il 48% della popolazione dai 25 ai 64 anni possiede al massimo la licenza media (nei Paesi avanzati il 15-25%) e solo il 35% dei cittadini ha un adeguato patrimonio di competenze (contro il 50-70% dei Paesi con cui competiamo). Cifre che fanno dell’Italia un paese a rischio. La scuola, in questo senso, può fare molto, anzi, può fare tutto. Il problema delle risorse esiste e purtroppo non è aggirabile. Ma qualcosa è necessario fare. Abbiamo parlato, fino ad abusarne, di merito, di sblocco degli ascensori sociali, di nuove regole.

Quest’anno, in Abruzzo, ma come del resto nella maggior parte degli istituti italiani, l’anno scolastico è partito con qualche difficoltà in più. Pur tra numerosi problemi oggettivi, alla fine dell’estate è stato firmato un protocollo d’intesa tra il Presidente della Regione, Gianni Chiodi, e il Ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini: l’obiettivo è migliorare l’offerta, nonostante la necessità di razionalizzare i costi.

E sulla stessa linea si è collocata anche la nomina del nuovo direttore generale dell’ufficio scolastico regionale abruzzese, Giovanna Boda. È giovane e preparata e soprattutto segna una rottura con il passato, con un sistema imbalsamato e conservatore. Certo, cambiare abitudini e mentalità è difficile. Specie nei momenti di grande insicurezza. Manca lo slancio e ci si arrocca ancora di più nei piccoli e illusori privilegi che negli anni non hanno fatto altro che immobilizzare la società nelle sabbie mobili del clientelismo e dell’ipocrisia.

Perciò, ripartiamo da una “nuova” scuola, quella rappresentata dai giovani pieni di entusiasmo, e proviamo a cambiare le regole. E ripartiamo dagli insegnanti. A loro spetta un compito importante, ma troppo spesso sottovalutato. Oggi più che mai c’è bisogno dei migliori, dei “talenti”. Ma se non si interrompe il circolo vizioso del precariato, sarà impossibile avere una scuola che sia garanzia di qualità.

La mancanza di capitale è uno dei problemi maggiori con cui il nostro Paese si trova a fare i conti. E fare riforme senza risorse è difficile, perché i fondi devono essere ben ripartiti e questo richiede sacrifici da un lato e lungimiranza dall’altro. Ma c’è un altro genere di capitale che invece non manca al nostro Paese, ed è quello umano. Un capitale che si rigenera e si moltiplica. Un capitale che è il vero motore della crescita. Un capitale che si forma nelle scuole.