Riprendono le ostilità nel Caucaso. La Georgia attacca l’Ossezia del Sud

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Riprendono le ostilità nel Caucaso. La Georgia attacca l’Ossezia del Sud

08 Agosto 2008

Il Caucaso ritorna un campo di battaglia con la ripresa degli scontri armati tra la Georgia e la sua repubblica separatista dell’Ossezia meridionale. La Georgia è intervenuta militarmente alle prime luci dell’alba per guadagnare il controllo della capitale della regione secessionista a dominanza russa. Perciò la Russia ha tempestivamente attivato la sua forza diplomatica convocando una riunione notturna straordinaria del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Nonostante la prontezza dei riflessi politici, Mosca ha già mostrato una crepa alla massima autorità. Il premier Putin ha annunciato inizialmente di essere pronto a reagire all’incursione militare della Georgia, salvo poi essere smentito dal presidente Medvedev che ha preferito temporeggiare in attesa di informazioni più accurate. Intanto, nel susseguirsi degli aggiornamenti, il governo separatista ha comunicato l’arrivo di ben trecento mercenari russi.

Mosca gioca la sua partita su due tavoli: pressione diplomatica e azione clandestina. Sul fronte opposto, la reazione della Georgia non costituisce un blitz, ma la risposta ad una crescente serie di attacchi e bombardamenti con granate e razzi scagliati dalle postazioni separatiste contro militari georgiani.

Tbilisi non ha mai celato la sua politica di re-integrazione nazionale dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia, l’altra repubblica georgiana filo-russa che ha proclamato l’indipendenza da Tbilisi. La ripresa del conflitto armato rievoca gli anni della guerra tra Georgia e Ossezia meridionale dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica. La scintilla della guerra era proprio l’inclusione dell’Ossezia, all’epoca Territorio Autonomo dell’Urss, all’interno del neonato stato indipendente della Georgia, con conseguente annullamento delle lunga tradizione di autonomie.

Il conflitto per scindere l’Ossezia dalla Georgia fu solo sospeso in una tregua che gli scontri di oggi hanno ormai infranto. Inoltre se la suddivisione etnica e linguistica appare ormai delineata stabilmente, non è lo stesso per il controllo del territorio. Infatti la Georgia controlla ancora una significativa porzione del territorio della sua repubblica separatista, e ciò rende più facile l’annientamento degli avversari.

L’influenza di Mosca resta tuttavia estesa, anche perché l’Ossezia meridionale non ha mai rinunciato al sogno di ricongiungersi con la sua metà settentrionale, che rappresenta oggi una repubblica della Federazione Russa. Quindi le spinte separatiste si sovrappongono ad un processo di unificazione nazionale ancora fallito.

Per Tbilisi questo conflitto non rappresenta solo una questione interna; la ripresa degli attacchi è anche finalizzata, secondo le autorità georgiane, ad impedire l’infiltrazione di nuovi contingenti militari russi. Pertanto l’Ossezia meridionale è un campo di battaglia locale per il confronto su più vasta scala tra Georgia e Russia.

Mosca sta sfruttando l’esempio del Kosovo come modello da applicare nel Caucaso ai suoi ex-satelliti sovietici. Il separatismo delle micro-entità locali diventa un grimaldello nella mani di Mosca per restaurare la sua sfera di influenza regionale e rafforzare la sua linea di resistenza contro l’avanzata della Nato – che proprio nella Georgia trova un suo convinto aspirante membro. Il carisma e il potere del presidente georgiano Saakashvili, l’artefice della svolta filo-occidentale politica ed economica della Georgia, sono nuovamente al centro dell’attenzione. Il ricorso alla forza è la reazione finale al fallimento dei negoziati per la risoluzione pacifica del futuro status dell’Ossezia.

La Georgia  di Saakashvili conferma di non voler rinunciare alla sua unità nazionale. I separatisti non sembrano disporre di arsenali e uomini per contrastare l’avanzata militare dei georgiani, proprio come avvenne nella guerra del 1991. Quella volta furono le pressioni internazionali e la minaccia della Russia di scendere in campo a dissuadere Tbilisi dal debellare definitivamente le aspirazioni dei separatisti. Ma oggi la Russia non è quella di Eltsin e l’Occidente è molto più attento alle conseguenze dei conflitti nel Caucaso.